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DERECHOS


14mar07


Sentenza ESMA


Redatta scheda per il casel1ario         N. 9241/99 R.G.N.R.                             N.12/06 del Reg. Gen. 
addì .............                       N.17887/00 R.O. G.I. P.                        N. 5/07 del Registro inserz. Senten. 

CORTE DI ASSISE DI ROMA
REPUBBLICA ITALLANA
IN NOME DEL POPOLO ITALLANO

L'anno duemilasette, il giorno 14 del mese di marzo, in Roma

LA IL CORTE DI ASSISE DI ROMA

composta dai Signori:


1. MARIO LUCIO       D'ANDRIA                         Presidente
2. ELlO              MICHELINI                        Giudice a latere 
3. ROBERTA           MASSACCESI                               
4. MARIO             PATRIZI
5. FRANCESCO         BASTIONI                          Giudici 
6. SIMONETTA         PINNA                             popolari
7. GIANCARLO         LEGGIO
8. ANGELO            SIROCCHI

con l'intervento del Pubblico Ministero, rappresentato dal dott. Francesco Caporale
e con l'assistenza dell'ausiliario sig.ra Orietta Callandro, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa penale con rito ordinario

CONTRO

1)ACOSTA JORGE EDUARDO, nato ìl17/05/41 a Buenos Aires (Argentina) e dom. c/o Escuardron Buenos Aires de la Gendarmeria Nacional de Campo de Mayo, Ruta 8 km 26 prov. di Buenos Aires (Argentina), ai sensi dell' art. 169 c.p.p. c/o l'Avv.to Luca Milani con studio in Roma via della Giuliana 32.

- Assente ai sensi dell'art. 420 quinquies c.p.p. -

2) ASTIZ ALFREDO IGNACIO nato 1'8/11/1951 Mar del Plata (prov. di Buenos Aires) e domiciliato in Mar del Plata, G.ral Lavalle 3762, ai sensi dell' art. 169 cpp c/o l' Avv. Roberto de Angelis con studio in Roma, via A. Baimonti 4.

- Assente ai sensi dell'art. 420 quinquies e.p.p.-

3) VILDOZA JORGE RAUL nato il 19/07/1930 a Rosario (Argentina) ai sensi dell'art. 165 c.p.p. c/o Avv.to Paolo Palleschi con studio in Roma, Viale Angelico n.70;

LATITANTE - CONTUMACE

4) VANEK ANTONIO nato i1 9/08/1924 a Buenos Aires (Argentina) e dom.to in Buenos Aires - Capital Federal (Argentina), Sucre n. 2050, Piso 4°, Dpt. A (oppure: Virrey Loreto 2464, Piso 4° Dpto “AH”) ai sensi dell'art 169 cpp c/o l' Avv.to Fabrizio Perfumo con studio in Roma, via A. Baldovinetti 26 .

- Assente ai sensi dell'art. 420 quinquies c.p.p .•

5) FEBRES HECTOR ANTONIO nato Buenos Aires il 10/09/1941 e dorn.to c/o Prefectura Zona Delta, Lavalle 13, Partido De Tigre, prov. di Buenos Aires (Argentina) ai sensi dell'art. 169 co. c.p.p. c/o l'Avv.to Giuseppe Poerìo con studio in Roma, via di Santamaura 39 .

- Assente ai sensi dell'art. 420 quinquies c.p.p .-

IMPUTATI

TUTTI:

del reato p.p dagli artt. 110, 81 cpv., 575 e 577 nn 3) e 4) in relazione all'art. 61 n.4) c.p. per avere, agendo di concerto ed in concorso tra loro e con il Massera e con altre persone non identificate, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nell'ambito del "Processo di Riorganizzazione Nazionale" instaurato dalla dittatura militare in Argentina con il "golpe" del 24 marzo 1976, nelle loro rispettive qualità, di ufficiali della Marina facenti parte del "Grupo de Tarèa 3.3.2." istituito presso la

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"Escuela Superior de Mecanica de la Armada" (ESMA), cagionato la morte, dopo averne disposto od operato il sequestro, e dopo averli sottoposti a torura, di Angela Maria Aieta (sequestrata il 5/8//76) e di Giovanni e Susanna Pegoraro (entrambi sequestrati il18/6/1977).
Con le aggravanti di aver commesso i fatti con premeditazione, ed adoperando sevizie ed agendo con crudeltà verso le persone.

In Buenos Aires, tra l'agosto 1976 e il dicembre 1977. Così modificato il capo di imputazione all'udienza dell'8.06.2006.

PARTI CIVILI

Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato ove è elett.te dom.to in Roma, via dei Portoghesi 12.
Avv. Giovanni Pietro De Figueiredo
Avv. Marco Fedell

Inocencia Luca, vedova Pegoraro
Nata a Buenos Aires (Argentina) il16.04.1926, res.te in Mar del Plata, Calle J.J. Paso n.2438;

Juan Carlos Dante Gullo
Nato a Buenos Aires (Argentina) 1'8.06.1947, ivi res.te in Calle Cachimayo 1940.

Juan Ernesto Gullo
Nato a Buenos Aires (Argentina) il 7.06.1972, ivi res.te, Calle Cachimayo 1940.

Carlos Nicolas Gullo
Nato a Buenos Aires (Argentina) il 28.12.1975, ivi res.te, Calle Cachimayo 1940.

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Emiliano Demian Gullo
Nato a Buenos Aires (Argentina) il 6.12.1974, ivi res.te, Calle Cachimayo 1940.
Tutti elettivamente domiciliati c/o lo studio dei propri difensori Avv. Marcello Gentili con studio in Milano Piazza V Giornate n.1 ed Avv. Giancarlo Maniga, con studio in Milano Piazza S. Pietro in Gessate n.2.

Leopoldo Benito Gullo
Nato a Buenos Aires il 7.05.1942, res.te in Villa Jardin El Palomar (Prov. Buenos Aires), Calle Libertàd 2551; Elett.te dom.to presso il difensore Avv. Nicola Brigida, con studio in Milano, piazza V Giomate n. 1.

Humberto Carmelo Gullo
Nato a Buenos Aires (Argentina) il 14.11.1938, ivi res.te Calle Balbastro 1231, Elett.te domiciliato presso il difensore Avv. Ernesto Magorno con studio a Belvedere Marittimo (Cosenza) via Vetticello 193 - Foro di Paola.

Regione Calabria interviene ex art. 91 e ss cpp.
Elett.te domiciliata c/o Avv. Titta Madia - con studio in Roma, vra Colli della Farnesina 144.
Provincia di Cosenza interviene nella qualità di Ente, nella persona del Presidente pro-tempore, per Emiliano Demian Gullo e Angela Maria Aieta in Gullo difesa e rappresentata dal legale dell'Ente, Avv. Antonella Gentile, elett.te dom.ta presso la sede.

Ai sensi dell'art. 93 del codice di rito intervengono con enti esponenziali:

Associazione "Abuelas de Plaza de Maio - Asociacion Civil", con sede in Buenos Aires in persona del suo rappresentante sig.ra Enriqueta Bames ved. Carlotto, dom.ta in Buenos Aires, Calle Virrey Ceballos 592, elett. te dom.ta presso l' Avv. Marcello Gentili, con studio in Milano - piazza V Giornate n.1.

Associazione "Comision De Familiares De Desaparacidos y Detenidos por Razones Politicas" con sede in Buenos Aires in persona del suo Presidente, legale rappresentante, sig.ra Penette Ruth Mabel, res.te in Buenos Aires, Calle Sarmiento 1922 7 “B”. Elett.te domiciliata presso l' Avv. Giancarlo Maniga, con studio in Milano Piazza S. Pietro in Gessate n.2.

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CONCLUSIONI

PM:

voglia la Corte condannare Acosta Jorge Eduardo, Astiz Alfredo Ignacio, Vildoza Jorge Raul e Febres Hector Antonio alla pena dell'ergastolo, con isolamento diurno per anni 2. Pena accessoria interdizione perpetua dai pubblici uffici. Pubblicazione dell' estratto della sentenza sui quotidiani la "Repubblica"e il "Corriere della Sera" alla irrevocabilità della stessa.
- assoluzione ai sensi dell'art. 530 cpp 2° comma per Vanek Antonio.

Difensori P.C.

Avv. Pietro De Figueiredo e Avv. Marco Fedell per:
Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente
del Consiglio dei Ministri pro-tempore

chiede affermarsi la penale responsabilutà degli imputati; risarcimento dei danni come da nota spese in atti.
Avv. Marcello Gentili e Avv. Giancarlo Maniga per:
Innocencia Lucia-ved. Pegoraro; Juan Carlos Dante Gullo;
Juan Ernesto Gullo; Emiliano Demian Gullo; Carlos Nicolas Gullo;

chiedono affermarsi la penale responsabilità degli imputati;
risarcimento danni morali e materiali come da nota spese in atti;
provvisionale, immediatamente esecutiva, per ciascuna delle P. C. costituite come da nota spese in atti.
Avv. Nicola Brigida per:
Leopoldo Benito Gullo;

- chiede affermarsi la penale responsabilità degli imputati;
- risarcimento danni morali e materiali come da nota spese in atti;
- provvisionale, immediatamente esecutiva, per ciascuna delle P.C. costituite - come da nota spese in atti.
Avv.to Ernesto Magorno per:
Humberto Carmelo Gullo:

- chiede affermarsi la penale responsabilità degli imputati;
- risarcimento danni morali e materiali come da nota spese in atti.
Avv.to Antonella Gentile per:
La Provincia di Cosenza;

- chiede affermarsi la penale responsabilità degli imputati;

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- risarcimento danni morali e materiali come da nota spese in atti,
Avv.to Titta Madia per:
La Regione Calabria

Non rassegna conclusioni
Avv.to Marcello Gentili per:
Ente esponenziale "Associazione Abuelas de Plaza de Majo"
- chiede affermarsi la penale responsabilità degli imputati;
- risarcimento danni morali e materiali come da nota spese in atti.
Avv.to Giancarlo Maniga per:
Associazione "Commission de Familiare Desaparecidos": - chiede affermarsi la penale responsabilità degli imputati; - risarcimento danni morali e materiali come da nota spese in atti.

Difensori Imputati
Avv.to Luca Milani per ACOSTA Jorge Eduardo
- assoluzione ai sensi dell'art. 530 cpp 2° comma;
- in subordine ai sensi dell'art 157 cpp applicarsi la prescrizione.
Avv.to Roberto De Angelis per: ASTIZ Alfredo Ignacio
- asso1uzione ai sensi dell'art. 530 cpp 2° comma;
- in subordine ai sensi dell'art 157 cpp applicarsi la prescrizione;
- chiede respingersi la richiesta di risarcimento danni avanzate dalle P.C. costituite.
Avv.to Paolo Palleschi per VILDOZA George Raul
- asso1uzione ai sensi dell'art. 530 cpp 2° cornma;
- in subordine ai sensi dell' art 157 cpp applicarsi la prescrizione.
Avv.to Fabrizio Perfumo per VANEK Antonio
- assoluzione ai sensi dell'art. 530 cpp 1 ° comma;
Avv.to Giuseppe Poerio per FEBRES Hector Antonio
- assoluzione ai sensi dell'art. 530 cpp 1 ° comma;
- in subordine assoluzione ai sensi dell'art 530 cpp 2° comma;
- in subordine assoluzione ai sensi dell'art. 530 cpp 3° cornma;
- chiede respingersi la richiesta di risarcimento danni avanzate dalle P.C. costituite.

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II CORTE DI ASSISE DI ROMA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di denuncia presentata in data 15/6/99 da Inocencia Luca, vedova Pegoraro, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma iscriveva al n. 9241/99R procedimento penale a carico dei cittadini stranieri Acosta Jorge Eduardo, Vanek Antonio, Febres Rector Antonio, Vildoza Jorge Raul e Astiz Alfredo Ignacio per il delltto di omicidio aggravato in danno dei cittadini itallani Giovanni e Susanna Pegoraro ed Angela Maria Aieta, avvenuti in Argentina nell'anno 1977.

In data 29/7/99 il Ministro di Grazia e Giustizia inviava formale richiesta di procedere contra i predetti cittadini stranieri ai sensi dell'art.8 C.P., "rilevato che le condotte riferibili ai summenzionati cittadini argentini, all'epoca dei fatti militari in servizio presso la marina militare di quel Paese, appaiono determinate da motivi politici e risultano commesse in danno dei cittadini itallani Giovanni e Susanna Pegoraro ed Angela Maria Aieta in ragione dei loro convincimenti politici",

Esperite le indagini, il Pubblico Ministero richiedeva l'udienza preliminare all'esito della quale il Gup di Roma, con decreto del 5/4/06,

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disponeva il rinvio a giudizio degli imputati davanti a questa Corte per rispondere del reato continuato di cui alla rubrica.

All'udienza dibattimentale dell'8/6/06, verificata la regolarità delle notifiche e dichiarata la contumacia di Jorge Raul Vildoza, veniva arnmessa la costituzione delle parti civili e l'intervento ex art.93 C.P.P. delle associazioni "Abuelas de Plaza de Mayo" e "Comision de familiares de desaparecidos y detenidos por razones politicas" e della Regione Calabria, della quale era originaria Angela Maria Aieta; la Corte respingeva l' eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dai difensori degli imputati, come da separata ordinanza; venivano, infine ammesse le prove e, successivamente, si dava inizio all'istruzione dibattimentale che si protraeva per numerose udienze, all'esito delle quali le parti concludevano come da verbale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La copiosa istruttoria dibattimentale ha consentito di accertare giudizialmente ciò che, del resto, era già noto storicamente: che negli anni tra il 1976 ed il 1983 si instaurò in Argentina una feroce dittatura militare che, con il pretesto di contrastare la guerriglia e di frenare il diffondersi delle idee marxiste, portò a termine con metodi disumani un vero e proprio genocidio. IL processo odiemo e il secondo che si celebra in Italla essendo stato preceduto da quello celebrato dalla Corte di Assise di Roma conclusosi con la sentenza di condanna di altri militari del 6/12/2000, passata in giudicato ed acquisita agli atti unitamente alle sentenze di conferma della Corte d'Assise d'appello e della Corte di Cassazione: sono stati, inoltre, acquisiti altri documenti tra i quali il rapporto della CONADEP ( Commissione Nazionale

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sulla Scomparsa di Persone) istituita dal Governo argentino dopo il ritomo alla democrazia allo scopo di indagare sulla tragica vicenda dei "desaparecidos" (il rapporto è stato raccolto nel libro "Nunca mas" (Mai più), così intitolato dalle parole conclusive della requisitoria del Pubblico Ministero Julio Cesar Strassera al processo contro i militari della Giunta) ed il libro "Il volo" del giornalista argentino Horacio Verbitsky nel quale sono raccolte le confessioni sui "voli della morte" dell'ufficiale Adolfo Scilingo, doeumentate anche in una videocassetta; tali doeumenti e le testimonianze dello stesso Horacio Verbitsky, a sua volta detenuto e torturato in un centro di detenzione illegale, di Magdalena Ruiz Guinazu (membro della CONADEP), di Italo Moretti (inviato speciale della Rai negli anni della dittatura), e di Enrico Calamai (console presso il Consolato itallano a Buenos Aires), consentono una ricostruzione del contesto storieo e sociale nel quale affondano le radici della tragedia argentina, contesto nel quale appare di particolare rilevanza la controversa figura di Juan Domingo Peron.

Già dal 1930 vi erano stati dei colpi di stato militari che continueranno fino all'ultimo del 24/5/1976 e che, con frequenza quasi decennale, alternarono govemi militari a governi democraticamente eletti; peraltro, nel periodo prebellico i governi avevano forti simpatie per le potenze dell'Asse e la cultura di cui erano permeate le forze armate argentine era molto vicina a quella nazifascista (anche se ciò non irnpedì all'Argentina, probabilmente per ottenere le simpatie dei vicini e potenti Stati Uniti, di dichiarare guerra alla Germania quando ormai Berlino era stata già occupata).

Questo continuo alternarsi di governi legittimi e militari (sulla base del quale si è elaborata la c.d. "teoria del pendolo" che oscilla in continuazione tra Parlamento e Caserma) , come riferisce il teste Julio Velasco, trova una

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giustificazione nella circostanza che in America Latina l' esercito rappresentava una istituzione amata e rispettata dal popolo che doveva ai militari la propria indipendenza dal dominio spagnolo; le Forze Armate avevano, poi, una grande influenza sull'industria argentina alla quale dedicavano particolare attenzione ritenendola parte integrante della difesa nazionale, memori del fatto che, durante la seconda guerra mondiale, a causa della dipendenza dalle importazioni industriali l'Argentina si era trovata in grande dìfficoltà (ad es. le autovetture erano costrette a viaggiare sui binari per la carenza di pneumatici); inoltre, delle forze armate facevano parte gli elementi più rappresentativi della società e l' esercito era visto come una riserva di risorse alle quali attingere nei momenti di difficoltà (si diceva che, in quei casi, si andava "a bussare alla porta della caserma").

Come riferisce il teste Moretti, in Argentina, sin daI 1800, vi fu una forte immigrazione itallana tanto che circa il 40% dei 35 milioni di abitanti ha ascendenti itallani ed i rapporti tra i due paesi sono stati sempre molto stretti; nell'ambito di tali rapporti Peron venne inviato in Italla tra il 1934 ed il 1941 per studiare il corpo degli Alpini che gli argentini volevano insediare sulle Ande a difesa dei confini contro l0 storico nemico cileno; rientrato nel suo paese, nel 1943 Peron partecipò ad un colpo di stato militare assumendo la carica di segretario allavoro ed alla previdenza social e, attuando una politica di ispirazione cattolica rispettosa dei diritti dei lavoratori e cominciando a riscuotere consensi nella popolazione; il suo successo politico generò invidie nei suoi stessi colleghi che, nel 1945, lo arrestarono, ma dovettero liberarlo immediatamente a seguito di una vera e propria sollevazione popolare: nasceva in tale occasione il movimento peronista, ancora oggi molto presente, che l'anno successivo lo portò ad essere eletto Presidente della Repubblica.

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Gli Stati Uniti non videro di buon occhio tale elezione a causa delle sue simpatie naziste, ma Peron riuscì ad alimentare il suo carisma con una politica populista (rìforme sociali, introduzione del sindacato unico Centrale Generale del Lavoro, ferie per le donne incinte, voto alle donne) sostenuto anche dalla figura della moglie Evita (deceduta nel 1952) che, grazie alla sua grande comunicatività, aveva forte presa sul popolo argentino.

Le casse dello Stato erano piene di valuta pregiata grazie all'esportazione, soprattutto di derrate alimentari in un'Europa affamata dopo il conflitto mondiale ma, mn mano che l'Europa si riprendeva, l'Argentina calava in una progressiva crisi economica che, nel 1955, porto ad un colpo di stato militare secondo la già esposta teoria del pendolo; il presidente militare Pedro Arambaru impose lo stato d'assedio, fece fucilare diversi esponenti peronisti, chiuse il Parlamento e la Corte Suprema; Peron andò in esilio in Spagna, sotto la protezione del dittatore Franco.

Tre anni dopo furono indette le elezioni, ma il governo eletto venne nuovamente rovesciato nel 1966 da un altro colpo di stato che insediò alla Presidenza il capo dell'esercito Juan Carlos Ongania che, ancora una volta, sciolse Parlamento e Corte Suprema.

Come in tutto il mondo, anche in Argentina la fine degli anni sessanta fu caratterizzata da fermenti e proteste giovanili che Peron, dal suo esilio spagnolo, strumentalmente ed ambiguamente stimolava fingendo simpatie marxiste al solo scopo di mobilitare i giovani, già soffocati dalla dittatura militare: nacquero così delle organizzazioni di resistenza politica, come la Gioventù peronista ed i Montoneros (di provenienza cattolica), e di vera e propria guerriglia, come l'Esercito Rivoluzionario del Popolo (ERP) e le Forze Armate Rivoluzionarie (FAR).

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Queste organizzazioni, anche mediante atti di terrorismo, misero in crisi il govemo del generale Alejandro Lanusse, succeduto al generale Lenvingston già succeduto ad Ongania, il quale preso atto della difficoltà di combattere la guerriglia cercò di isolarla politicamente con nuove elezioni alle quali furono ammessi esponenti peronisti; ma per evitare una sicura vittoria di Peron, Lanusse stabilì che potevano candidarsi solo coloro che erano residenti nel Paese prima dell' agosto 1972.

Peron, acclamato da migliaia di persone che avevano creduto alle sue promesse di una Patria socialista, poco prima delle elezioni tornò brevemente in Argentina per preparare il suo definitivo rientro sulla scena politica, utilizzando a tale scopo anche il torvo aiuto del capo della Loggia P2, Licio Gelli, ritratto al suo fianco sull'aereo dell'Alitalla che li portava a Buenos Aires. Non potendosi presentare personalmente alle elezioni, designò come suo sostituto Hector J. Campora che, nel marzo del 1973, venne eletto Presidente con largo vantaggio sugli altri candidati, in un clima apparentemente di sinistra tanto che ai festeggiamenti parteciparono il Presidente cubano ed il Presidente cileno Salvador Allende che, circa sei mesì dopo, verrà assassinato durante il golpe del generale "fellone" Pinochet.

IL 20 giugno del 1973 Peron fece il suo definitivo rientro in terra argentina; in attesa del suo arrivo, il segretario di Campora, Josè Lopez Rega (ex poliziotto dalle singolari credenze esoteriche), sistemò un gruppo di militari sul palco d'onore dal quale Peron avrebbe tenuto il suo discorso; più di un milione di giovani peronisti erano affluiti nella piazza antistante l'aeroporto "Ezeiza" di Buenos Aires ed, appena la folla cominciò ad avvicinarsi al palco, i militari aprirono il fuoco con armi automatiche mietendo numerose vittime tra i giovani della sinistra; cominciava a sciogliersi l'equivoco peronista il cui

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movimento era nettamente diviso tra una destra conservatrice, contraria ad ogni riforma sociale, ed una sinistra giovanile non estranea a posizioni estremiste.

Peron (iconograficarnente descritto dal teste Verbitsky come un animale mitologico con la testa di destra ed il corpo di sinistra) prese immediatamente a pretesto l'evento schierandosi contro la sinistra, costrinse Campora alle dimissioni ed, all'esito di nuove elezioni, venne eletto Presidente il 23 settembre 1973, nominando vice presidente la sua nuova moglie Isabelita.

La definitiva rottura con la sinistra avvenne, pero, il 1° maggio del 1974 allorchè, durante il comizio in Plaza de Majo, i giovani peronisti mostrarono di non gradire la figura di Isabelita, impedendole di parlare e cominciando a scandire il nome di Evita da sempre ritenuta, a torto o a ragione, la vera ispiratrice delle prime riforme sociali introdotte da Peron; questi non tollerò tale atteggiamento e, definendoli "imberbi imbecilli", si scagliò contro i Montoneros i quali, dal canto loro, gli voltarono fisicamente le spalle come per sancire, anche visivamente, l'irrecuperabile frattura.

Il governo di Peron durò pochi mesi poichè la morte lo raggiunse il 10 luglio di quello stesso anno; venne formalmente sostituito da Isabelita che, però, non aveva nè il carisma, nè il seguito popolare di Evita; nella realtà Isabelita era solo un ostaggio nelle mani dei militari e la effettiva conduzione del governo venne presa dallo "stregone" Lopez Rega al quale si deve la creazione della cd. Triple A (Alleanza Anticomunista Argentina) composta da squadroni della morte che sequestravano, torturavano ed uccidevano chiunque fosse sospettato non solo di atti di guerriglia, ma anche di attività sindacali o, comunque, di simpatie per le teorie marxiste (a proposito della confusione della quale era permeato il peronismo, il teste Verbitsky riferisce che la Triple A, da

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alcuni esponenti della sinistra, inizialmente veniva ritenuta l'abbreviazione di "Alleanza Antimperialista Argentina").

Dalla parte opposta la violenza veniva esercitata dai Montoneros che attuavano una guerriglia prevalentemente urbana (e che per tale motivo cominciarono a perdere consenso popolare), e dall'ERP che effettuava azioni nelle zone rurali del Paese.

In tale contesto fu facile per i militari convincere Isabelita a firmare un decreto nel quale letteralmente si ordinava l'annientamento ("anniquilamiento") di entrambi i gruppi di guerriglia, cosa che fu diligentemente portata a termine attraverso una violenta repressione che inflisse gravi perdite ai Montoneros e distrusse di fatto l'intero Esercito Rivoluzionario Popolare.

Ciononostante il govemo di Isabelita fu ritenuto debole ed incapace di controllare l'ordine pubblico e, soprattutto, l'economia precipitata a livelli di recessione con un'inflazione annua del 400%: come riferisce il teste Moretti, l' Argentina era un paese ricco di risorse, in grado di sfamare 150 milioni di persone, mentre circa il 40% della popolazione era alla fame; con il consenso o l'indifferenza di gran parte della popolazione, ormai stanca della violenza e della miseria, il pendolo si spostò nuovamente verso le caserme ed il 24/3/76 i militari portarono a termine l'ennesimo colpo di stato imprigionando Isabelita e sciogliendo il Parlamento e la Corte suprema di giustizia.

Il govemo venne assunto da una giunta militare formata dai capi delle tre Forze Armate: Videla, Presidente della giunta, per l'Esercito, Massera per la Marina ed Agosti per l'Aeronautica.

I generali argentini avevano, intanto, imparato la lezione cilena: la brutalità del golpe del 1973 aveva suscitato reazioni indignate di buona parte della comunità internazionale ed un'eventuale identica reazione avrebbe potuto

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essere deleteria per la già precaria economia argentina; essi optarono, dunque, per una linea apparentemente morbida, formalmente opposta a quella cilena: tanto fu esibito, ostentato il golpe in Cile con l'inutile, spettacolare bombardamento della Moneda, i carri armati in strada, lo stadio pieno di prigionieri politici, tanto fu silenzioso, nascosto, scientifico questo in Argentina: ebbero improvvisamente termine anche le sanguinarie imprese della famigerata Triple A, i cui membri vennero convogliati nelle strutture segrete della dittatura. La persecuzione politica fu clandestina, senza camionette o blindati e Buenos Aires appariva come una tranquilla città nella quale la vita proseguiva normalmente, tanto che, almeno all'inizio, il golpe fu accolto con sollievo da parte della società argentina e fu ritenuto ineluttabile anche da parte della stampa democratica (Le Monde - Washington Post).

La realtà era ben diversa e, con il passare del tempo, non tardò a rivelarsi: i militari avevano organizzato in tutto il Paese circa trecentocinquanta centri di detenzione illegale (CCD) nei quali le persone sequestrate venivano sistematicamente torturate e, nella gran parte dei casi, uccise: uno di questi centri era l’ESMA (Escuela de Mecanica de l'Armada), gestito dalla Marina Militare (Armada), situato nella immediata periferia di Buenos Aires su un'area di diciassette ettari con diversi edifici; i primi tempi, di notte, si sentivano degli spari e si vedevano dei fuochi: erano i corpi dei prigionieri che venivano bruciati dopo essere stati passati per le armi; il numero dei prigionieri presenti era molto alto e, per liberare spazio, venivano periodicamente soppressi; anche all'ESMA iniziarono i "voli della morte" ed ogni mercoledì partiva un aereo militare che lasciava precipitare i prigionieri ancora vivi, anche se storditi con iniezioni di barbiturici, nel Rìo della Plata o nell' Atlantico meridionale.

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Diversamente dal Cile, nel quale Pinochet fu dichiarato dittatore a vita, in Argentina si seguiva il metodo dell'anzianità di carriera e nel 1981 Videla fu costretto a dimettersi per raggiunti limiti di età, venendo sostituito dal generale Viola al quale subentrò, a fine anno, il generale Galtieri che, allo scopo di distogliere l'attenzione dagli orrori compiuti negli anni precedenti, come spesso fanno i dittatori, cercò di ricompattare il popolo argentino sotto la bandiera del nazionalismo: nel 1982, infatti, militari argentini occuparono le isole Malvinas rivendicandone la sovranità: le isole erano, però, un possedimento inglese (Falkland) ed il Primo Ministro Margaret Thatcher non esitò ad inviare una potente flotta per riconquistare le isole, così vanificando la tacita speranza della Giunta di un disinteresse dell’Inghilterra per quelle isole tanto lontane.

Di fronte alla superiore potenza navale inglese il contingente argentino sulle isole non potette far altro che arrendersi quasi subito; lo smacco militare e gli ulteriori, numerosi morti (si ricordi l'affondamento dell'incrociatore "Belgrano") causarono la fine della dittatura militare: lo stesso Galtieri decise di indire le elezioni, ma prima di abbandonare, nel 1983, i militari proclamarono un' autoamnistia per tutti coloro che erano accusati di aver violato i diritti umani.

Le elezioni si tennero a settembre del 1983 e furono vinte dal radicale Alfonsin, ed il primo atto del nuovo Parlamento fu quello di annullare il decreto di amnistia.

Pochi mesi dopo, nel dicembre, il nuovo Presidente istituì la Commissione Nazionale sulla Scomparsa delle Persone (CONADEP), nominandone membri personalità della cultura che avevano dato prova del loro impegno nella difesa dei diritti umani; il Presidente della Commissione, lo scrittore Ernesto Sabato, nel settembre dell'anno successivo consegnò ad

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Alfonsin la relazione finale della Conadep (contenuta nel libro "Nunca Mas" acquisito agli atti) nella quale erano accertati i crimini commessi in modo sistematico dalle istituzioni militari.

Alcuni tra i principali responsabili della tragedia argentina, Videla­- Massera-Agosti ed altri ufficiali, furono condannati a pene detentive temporanee dalla Magistratura ordinaria, dopo che il Consiglio Superiore delle Forze Armate non aveva dato seguito all'ordine govemativo di processare i torturatori. Il potere dei militari, tuttavia, era ancora forte ed il Parlamento, temendo pericolose reazioni di quell'ambiente, nel dicembre del 1986 approvò la legge del "Punto final" con la quale si imponeva alla Magistratura il breve termine di sessanta giorni, dalla pubblicazione della stessa legge, per iniziare i processi contro coloro che si erano macchiati di delitti contro i diritti umani, trascorso il quale si sarebbe verificata l'estinzione dell'azione penale.

Nonostante il termine capestro, i magistrati riuscirono a rinviare a giudizio centinaia di persone, cosa che provocò una sommossa militare con l'occupazione della Scuola di Fanteria; per evitare il peggio, ancora una volta le istituzioni democratiche argentine furono costrette al compromesso ed il Parlamento approvò la legge di "Obediencia debida" con la quale si stabiliva che non erano perseguibili coloro che avevano agito in esecuzione di un ordine superiore, di fatto concedendo l’impunità a tutti gli esecutivi e quadri intermedi di ufficiali e poliziotti che non avevano funzioni di comando superiore.

Ancora, sotto la presidenza di Carlos Menem, nel 1989 venne emanato un indulto del quale fruirono più di duecento militari e, l'anno successivo questo provvedimento venne esteso anche a Videla e Massera ( che fino ad allora avevano, peraltro, scontato la "detenzione" in una villa dell'esercito, con ampie facoltà di movimento e con libera uscita nei fine settimana): la

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singolarità del provvedimento fu la previsione della sua applicabilità non solo a chi aveva già subito una condanna, ma anche a chi non era stato ancora giudicato.

Le due leggi e 1'indulto dovevano, di fatto, chiudere definitivamente ogni possibilità di perseguire i militari, ma non fu così: come riferiscono i testi Ramon Torres Molina, già Pubblico Ministero presso il Tribunale di Santa Cruz, Adolfo Luis Bagnasco, Giudice Federale, ed Eduardo Luis Duhalde, avvocato, attualmente Segretario di Stato per i diritti umani, l'attenzione dei cittadini e la richiesta di giustizia rimase alta; da una parte la Magistratura riuscì ad accertare numerosi casi di bambini nati da madri prigioniere e poi scomparse, sul presupposto che il reato di alterazione di stato fosse un reato permanente ed escluso dalla previsione della legislazione premiale; dall'altro gli organismi di tutela dei diritti umani eccepirono che la legislazione premiale era in contrasto con il "Patto di San Josè di Costa Rica", convenzione per i diritti umani tra Stati americani ratificata anche dall'Argentina. Poco dopo la Corte Suprema dichiarò l'incostituzionalità delle due leggi, ed il Parlamento, sotto la Presidenza di Nestor Carlos Kirchner eletto nel maggio del 2003, le abrogò definitivamente.

Attualmente in Argentina circa duecento militari sono detenuti e numerosi altri procedimenti sono pendenti.

Il colpo di stato del 1973 venne organizzato con metodica scientifica e fu preceduto da una martellante campagna dei media che presentavano all'opinione pubblica un Paese sull'orlo del caos; sin dai primi giorni del golpe, le forze della repressione avevano già lunghi elenchi di sindacalisti, studenti,

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professori, giornalisti e semplici cittadini dediti all'assistenza sociale che vennero immediatamente sequestrati: fu, infatti, teorizzato che i poveri, in quanto tali, erano sovversivi e sovversivo era anche chi li aiutava (Moretti).

Le testimonianze degli ex ufficiali Luis Garcia e Julio Urien, per la loro esperienza diretta, danno conto delle ragioni del golpe che, peraltro, trovò un terreno già arato da quello realizzato nel 1971 dal generale Lanusse che, per primo, abbracciò la dottrina della "sicurezza nazionale" secando la quale occorreva contrastare, con ogni metodo, l'avanzata delle idee marxiste.

Si era in piena guerra fredda, il mondo era diviso in due blocchi, in termini storici da poco tempo si era risolta la crisi dei missili a Cuba, in Nicaragua i Sandinisti erano al potere, in Cile avanzava "Unidad Popular"; gli Stati Uniti, preoccupati dalla possibile diffusione del socialismo anche in altri Stati dell'America del sud, promossero il "Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca" (TIAR) che, come una sorta di NATO del sud america, prevedeva l'obbligo di intervento di tutti i Paesi ove uno di essi fosse stato attaccato: era evidente che l'unica nazione che poteva trovarsi in tale condizione erano gli Stati Uniti, ma i Paesi sud americani interpretarono il pericolo di attacco come pericolo di attacco dall'interno, come pericolo di sommosse popolari.

Nasceva la dottrina della "sìcurezza nazionale" (per vincere quella che già era definita la "terza guerra mondiale") che avrebbe trasformato gli eserciti dei Paesi sud americani, da soldati con il compito di difendere l'integrità del territorio nazionale, in truppe d'occupazione contro i propri concittadini.

Il teste Julio Urien, proveniente da una famiglia di militari ed egli stesso ufficiale proveniente dall'Accademia Navale, compagno di corso dell'imputato Astiz, ha riferito che dagli anni '70 venne modificata

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radicalmente l' istruzione militare che, dagli studi dei combattimenti militari secondo i canoni della seconda guerra mondiale, si orientò sui metodi di repressione popolare: ai giovani ufficiali veniva proiettato il film "La battaglia di Algeri" per mostrare le tecniche di tortura utilizzate dai para francesi ed instillare l'idea che la tortura doveva essere considerata alla stregua di qualsiasi altra arma; dal 1972 l'Armada cominciò a creare i gruppi di "tarea", gruppi di lavoro operativi del Servizio di Informazioni Navali con il compito di sequestrare i militanti popolari e portarli presso l'ESMA per estorcere loro delle ìnformazioni. Il teste si ribellò a queste direttive, unitamente a circa 17 ufficiali e 50 sottufficiali, insieme ai quali fu arrestato; venne, poi, liberato dopo le elezioni del 1973, ma venne nuovamente arrestato dopo il golpe, restando detenuto in un carcere legale durante tutto il periodo della dittatura militare. Anche altri ufficiali si ribeIlarono, i cd. trentatre orientali, venendo espulsi dall' esercito dal generale Galtieri.

Nell'ambito della dottrina della sicurezza nazionale, nacque il "Piano Condor", accordo multilaterale tra le Forze Armate dei Paesi del cd. Cono Sud, dalla Bolivia fino al Cile ed all'Argentina, che permetteva, tra l'altro, alle Forze Armate di ogni Paese di operare negli altri con finalità di repressione nei confronti dei propri cittadini, affinchè nessun sovversivo nell'America Latina potesse sottrarsi alla cattura o all' eliminazione (testimonianza Calamai); fu così che vari rifugiati o esiliati vennero uccisi o riconsegnati ai Paesi dai quali erano fuggiti. 1 militari dei Paesi del Cono Sud avevano un obiettivo comune da combattere ed una formazione culturale assolutamente omogenea: espressione delle classi medio alte dei rispettivi Paesi, erano tutti formati nelle accademie militari degli Stati Uniti o fondate dagli Stati Uniti, come la "Escuela de las Americas" con sede a Panama dove si insegnavano, tra l'altro, tecniche di

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interrogatorio che in realtà erano tecniche di tortura; intere generazioni di quadri militari si formarono in questa scuola e, per coloro che avevano una particolare propensione per la materia (!), era prevista una sorta di master, una specializzazione a Taiwan dove venivano praticate tecniche di tortura cinese, molto più sofisticate ed ìnsopportabili.

La dottrina della "sicurezza nazionale" trovò applicazione dal Messico a Capo Horn, ed in tutti i Paesi sud americani si instaurò una dittatura: i generali argentini la attuarono attraverso il "Processo di Riorganizzazione Nazionale".

Come detto, i militari argentini avevano fatto tesoro dagli errori di Pinochet e fecero di tutto per nascondere le atrocità commesse all'opinione pubblica sia interna che internazionale; non vi fu un solo blindato per la strada, le operazioni di sequestro avvenivano con camion ed autovetture (le tristemente note Ford Falcon) prive di targa o di segni identificativi; la Capitale viveva normalmente con ristoranti e locali pubblici affollati; il metodo utilizzato fu sempre uguale, clandestino, violento e volto a terrorizzare gli stessi familiari, amici, parenti o semplici vicini dei sequestrati per ottenerne il silenzio con la lusinga di poter presto riabbracciare il rapito, o con la minaccia di gravissime conseguenze; l'idea di far sparire i sequestrati pagava doppiamente: da un lato permetteva di tenere sotto controllo le famiglie delle vittime, dall'altro non offriva spunti o immagini alla stampa.

Ha dichiarato il console Calamai che i generali argentini poterono fare ciò che fecero solo grazie alla complicità o all'indifferenza internazionale, nell'ambito di una malintesa solidarietà occìdentale. In realtà la stessa Unione Sovietica, prima importatrice di grano argentino, che avrebbe dovuto ergersi a

15 difesa dei "comunisti", fu compiacente con i golpisti, mostrando molto più interesse per il grano che per il popolo argentino.

L'ambasciata itallana fu avvertita qualche giorno prima del golpe e la sua sola preoccupazione fu quella di munirsi di doppie porte elettroniche, del tipo oggi in uso all'ingresso delle banche; fu così impedita qualsiasi possibilità di rifugiarsi di corsa nell'ambasciata ed è facile immaginare i toni di una conversazione tra chi, seduto tranquillamente all'interno, chiedeva spiegazioni sui motivi della visita e chi disperatamente chiedeva di entrare, mentre una Ford Falcon senza targa era parcheggiata a pochi centimetri di distanza. Il teste Calamai che, invece, con una scelta rischiosa e del tutto personale, accolse numerosi connazionali presso il consolato ed anche presso la sua abitazione privata, riuscendo ad imbarcarli su aerei che partivano da aeroporti secondari, ha rivelato anche che, almeno in un caso, da parte dell'ambasciata vi fu un'esplicita connivenza con i militari: una donna con dei bambini aveva telefonato per chiedere asilo e del suo arrivo furono preavvertiti i militari.

Non un solo rifugiato politico fu accolto dalla nostra ambasciata.

Diversamente da quanto era avvenuto per il caso del Cile, nel quale il nostro governo mostrò di assecondare l'opinione pubblica che seguiva i fatti con grande attenzione (la nostra ambasciata di Santiago si riempì di rifugiati politici), nel caso dell'Argentina le direttive furono di evitare qualsiasi atto che potesse rimuovere l'oscuramento nel quale era tenuta anche la nostra opinione pubblica, ad esempio negando qualsiasi possibilità di asilo politico. Non a caso, ha ricordato uno dei difensori, mentre la musica degli "Inti Illimani", gruppo musicale che contestava la dittatura cilena, imperversava nel nostro Paese, quasi del tutto sconosciuta è rimasta la musica di un analogo gruppo argentino dal nome "Los Americanos".

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Le ragioni di tali scelte di politica estera sono, allo stato, sconosciute: si possono immaginare dettate proprio dai robusti legami economici tra i due paesi, o dal particolare momento storico itallano caratterizzato da forti fermenti sociali che, purtroppo, si manifestarono anche con gravi atti terroristici; ma non può escludersi che tali scelte siano state determinate da quell'occulta catena di intrecci di potere che faceva capo alla loggia P2, della quale si comprenderà il pericolo solo a metà degli anni ottanta, dopo la perquisizione della villa di Castiglion Fibocchi di proprietà di Licio Gelli, allorchè vennero ritrovati gli elenchi degli iscritti alla loggia segreta e si comprese che questa era stata in grado di condizionare la politica dello Stato. Gelli era molto ben introdotto negli ambienti militari argentini, tanto da accompagnare personalmente Peron, ed era anche molto amico del membro della Giunta Massera, anch'egli iscritto alla P2; questi, che era il più ambizioso della Giunta (fece sequestrare un uomo colpevole solo di essere il marito della sua amante e lo strangolò con le sue mani), venne varie volte in Italla per acquistare armi, su invito di Gelli, alloggiando presso il noto albergo romano "Excelsior", quartier generale della P2.

Un altro potente personaggio iscritto a questa loggia segreta era il banchiere Roberto Calvi, amministratore delegato del Banco Ambrosiano portato al fallimento attraverso occulte manovre per milioni di dollari gestite da consociate o filiali sud americane del Banco. Come riferito dal teste Moretti, grazie all'aiuto di Massera, Gelli ottenne per Calvi l'apertura di una filiale del Banco a Buenos Aires, nella cui sede vennero sistemati gli elegantissimi uffici del triunviro. Il teste Victor Basterra, grafico specializzato in valori bancari e detenuto all'ESMA, ha riferito di essere stato obbligato a lavorare in un sotterraneo, cd. settore 4, in una sorta di laboratorio grafico adiacente ad una

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sala di tortura, dove gli imposero, tra l'altro, di realizzare due passaporti falsi, intestati ad un cittadino naturalizzato argentino, riportanti l'effige di Licio Gelli; i militari tenevano particolarmente a questi documenti e, molti di loro, gli raccomandarono di fare il lavoro più preciso possibile perchè si trattava di una persona molto importante; gli consegnarono una foto che dovette riprodurre quattro volte perchè, inizialmente, gli erano stati richiesti quattro passaporti. Una volta libero, riconobbe nella foto da lui riprodotta l'immagine di Licio Gelli allorchè fu arrestato in Svizzera.

Gravi furono anche le scelte del Vaticano e delle alte gerarchie ecclesiastiche argentine.

Il Vaticano mostrò molta acquiescenza nei confronti dei golpisti; Videla e Massera nel '79 furono ricevuti in udienza papale, udienza che una delegazione di madri di Plaza de Mayo non riuscì mai ad ottenere da Papa Woityla (peraltro, in quegli anni recatosi in visita ufficiale anche dal dittatore Pinochet): nel 1979 la teste Angela Boitano, fervente cattolica alla quale tra il '76 e il '77 avevano fatto sparire i suoi due figli di 20 e 23 anni, si recò insieme ad altre quattro madri a Puebla, in Messico, sapendo che vi sarebbe giunto in visita il Pontefice; le donne non riuscirono ad incontrarlo, ma ebbero un colloquio con Pio Laghi, Nunzio Apostolico a Buenos Aires, al quale comunicarono che erano già tre anni che i loro figli erano stati rapiti e che non ne avevano notizia: la risposta dell'alto prelato, oltre a dimostrare che il Vaticano sapeva bene ciò che accadeva, fu di una tale crudezza che, a dire della teste, forse gli stessi militari avrebbero usato parole più pietose sapendo di trovarsi di fronte a delle madri: il Nunzio Pio Laghi rispose che tre anni era un tempo troppo lungo e che, se i loro figli erano stati molto torturati, certamente i militari non li avrebbero liberati. Le donne continuarono la loro lotta recandosi

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a Roma cercando inutilmente di incontrare Giovanni Paolo Il, fìnchè un giorno la Boitano si lancìò davanti alla vettura del Pontefice, mentre faceva il giro tra i fedell in Piazza S.Pietro, bloccandola; riuscì a consegnargli un bigliettino con i nomi dei figli chiedendo la carità di un'udienza: la risposta del Papa fu un invito a rivolgersi al Suo segretario. Due giorni dopo, le madri tornarono in Vaticano dove appresero che Giovanni Paolo IL non poteva riceverle perchè impegnato in un viaggio in Irlanda.

Passarono altri due giorni e decisero di iniziare uno sciopero della fame nella Parrocchia della Trasfigurazione di Roma, ottenendo grande risalto da parte della stampa, della televisione e la partecipazione di numerosi cittadini.

Il Papa continuava, pero, a tacere.

Iniziarono, allora, una raccolta di firme in molte parrocchie, su consiglio del parroco Lauro Biscardo che provvide ad inviare le firme in Vaticano: fu così che, finalmente, il 26 ottobre del 1979, per la prima volta, il Papa dichiarò pubblicamente di essere vicino al dolore delle mamme dei desaparecidos.

Le alte gerarchie ecclesiastiche argentine, diversamente da quanto avvenne per la Chiesa cilena, in nome della crociata contro il comunismo approvarono fin dall'inizio metodi ed obiettivi dei golpisti, nonostante vi fossero già state alcune vittime tra i parroci di base: poco prima del golpe gli squadroni della morte della Triple A assassinarono due preti e due seminaristi della parrocchia dei Preti Pallottini di Buenos Aires, lasciando sulle pareti la scritta, tracciata con il sangue delle vittime, "avete finito di avvelenare la nostra gioventù". Degli ottanta vescovi componenti la conferenza episcopale argentina, soltanto quattro, uno dei quali morto in un misterioso incidente stradale, fecero sentire il loro dissenso.

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Il teste Verbitsky ha riferito che la scelta di eliminare i prigionieri gettandoli dagli aerei, fu decisa prima del golpe e fu approvata dalle alte cariche della Chiesa argentina che ritennero tale metodo non violento e conforme alla carità cristiana. Spesso i militari che tornavano dai "voli della morte" erano colti da rimorsi e crisi di coscienza, ma venivano prontamente assistiti dai cappellani militari che li confortavano facendo loro capire quanto fosse giusto separare la gramigna dal grano.

Quando fu eletto come Presidente deg1i Stati Uniti il democratico Carter, l'OSA (Organizzazione degli Stati Americani) inviò una commissione per i diritti umani per verificare la fondatezza delle voci ricorrenti sui metodi disumani seguiti dai generali: era il 1979 ed all'ESMA (che nell'occasione venne ripulita e ristrutturata) vi erano circa sessanta prigionieri che i militari si affrettarono a trasferire per sottrarli alla vista dei commissari. Ebbene i prigionieri, ridotti nelle solite pietose condizioni, furono tutti trasferiti alla periferia di Buenos Aires, su un'isola sul delta del fiume di proprietà della Curia, dove era anche la villa nella quale trascorreva le vacanze l'Arcivescovo di Buenos Aires.

Il nome della villa era: "Il silenzio".

Nella sentenza, passata in giudicato ed acquisita agli atti, relativa al primo processo contro militari argentini pronunciata da questa stessa Corte nell'anno 2000, sono riportati alcuni passi della relazione finale della CONADEP e del libro "Il Volo" del teste Verbitsky, anch'essi acquisiti, che per la loro completezza, lucidità e corrispondenza con le dichiarazioni dei testi

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intervenuti nel presente dibattimento, e utile riportare testualmente ancora una volta.

Nella prefazione a "Il Volo" si legge: "Il 24/3/76 il potere passò ai militari senza nessun incidente. Vennero sospese le attività dei partiti politici e dei sindacati, ma si fece sapere che queste erano misure transitorie e che la Giunta militare aveva come obiettivo il rafforzamento della struttura democratica del Paese. Gli argentini avrebbero dovuto abituarsi a questo paradosso. Debole, quasi formale, comunque attendista fu la reazione internazionale. Sembrava evidente che Videla non era Pinochet così come Isabel Peron non era Salvador Allende. Il paragone con il caso cileno non è di grande aiuto. Purtroppo la condanna internazionale sarebbe arrivata troppo tardi. La Giunta militare volle eliminare tutti i suoi nemici senza che si diffondesse la coscienza di tale annientamento. Fu inventata una strategia rivoluzionaria: niente arresti di massa, niente carceri, niente fucilazioni nè assassinil clamorosi come quelli della Triplice A. Gli oppositori sarebbero stati sequestrati da gruppi non identificati, caricati su vetture senza targa e fatti scomparire. Ebbe così inizio, lentamente, il più grande genocidio della storia argentina. I sequestri furono sempre più frequenti e si ripetevano sempre secondo le stesse modalità. Non erano gruppi incontrollati dell'estrema destra, come voleva far credere la Giunta, ma vi era una struttura centrale che li coordinava. Le operazioni venivano compiute nei posti di lavoro delle persone segnalate o per strada in pieno giorno, mediante un piano che richiedeva la "zona franca" da parte delle forze di Polizia. Le loro volanti che, specialmente dopo il colpo di stato erano presenti un pò dappertutto, stranamente non videro mai niente, anche se i sequestri si consumavano a poca distanza dal commissariato. Ma la stragrande maggioranza dei sequestri avveniva di notte in

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casa delle vittime. Il commando occupava la zona circostante ed entrava nel1e case facendo uso del1a forza. Terrorizzava ed imbavagliava perfino i bambini obbligandoli ad essere presenti. La vittima veniva catturata, brutalmente colpita ed incappucciata, poi trascinata fino alle macchine che aspettavano, mentre il resto del gruppo rubava tutto quello che poteva (in alcuni casi arrivavano perfino dei camion) o distruggeva quello che non poteva portarsi via, picchiando e minacciando il resto della famiglia. Anche nei casi in cui i vicini o i parenti riuscivano a dare l'allarme, la Polizia non arrivava mai. Si incominciò così a capire l'inutilità di sporgere denuncia. La maggioranza della popolazione era terrorizzata e non era nemmeno facile trovare testimoni. Nessuno aveva visto nulla. In questo modo migliaia e migliaia di persone diedero forma ad una fantasmatica categoria, quella dei desaparecidos. Nessun interrogativo trovò una risposta: la Polizia non aveva visto nulla, il Govemo faceva finta di non capire di che cosa si stesse parlando, la Chiesa non si pronunciava, gli elenchi delle carceri non registravano le loro detenzioni, i magistrati non intervenivano. Intorno ai desaparecidos si era alzato un muro di silenzio. Con i diritti avevano perso anche l'esistenza civile. Dal momento in cui avveniva il sequestro la persona restava totalmente isolata dal mondo esterno. Depositata in uno dei numerosi campi di concentramento o in luoghi intermedi di detenzione dove veniva sottoposta a torture infernali, e lasciata all'oscuro della propria sorte. Alcuni venivano perfino abbandonati dalla famiglia che, sotto la pressione di continue minacce, ricatti e richieste di denaro, viveva nel terrore di rappresaglie e qualche volta fiduciosa che il silenzio, richiesto dai militari, fosse il miglior modo per ottenere quaIche informazione. Nei centri clandestini di detenzione veniva sistematicamente applicata la tortura. Le "sessioni" erano sorvegliate da un medico che controllava i limiti di tolleranza della vittima e determinava il

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proseguimento o la momentanea sospensione della tortura se la vittima non era in grado di reggerla. La valutazione preventiva per capire se la persona da sequestrare o sequestrata avesse qualcosa da dire di interessante per i sequestratori era pressochè inesistente. Questo metodo indiscriminato portò al sequestro e alla tortura degli oppositori, ma anche dei loro familiari, amici, colleghi di lavoro e di un numero rilevante di persone senza alcun tipo di pratica politica o sindacale. Bastava molto poco per essere considerato sospetto. Il prigioniero poteva morire sotto tortura, essere fucilato o gettato in mezzo all'oceano. IL suo cadavere sarebbe stato forse sepolto nelle tombe comuni di cimiteri clandestini, cremato o buttato in fondo al mare con un blocco di cemento ai piedi. Anche se la dittatura militare aveva modificato il codice penale introducendo la pena capitale, ufficialmente non ci fu nessuna condanna a morte. Nonostante le migliaia di vittime, non fu eseguita in nessun caso una sentenza giudiziaria nè civile, nè militare. Non fu quindi rispettata nemmeno questa precaria legalità che lo stesso regime aveva stabilito. Passavano così i giorni, i mesi, gli anni senza avere mai nessuna notizia, trovando sempre risposte negative. Nessuno sapeva niente di loro. Erano scomparsi".

Nel libro "Nunca Mas" si legge: "Le operazioni di sequestro avevano luogo a notte inoltrata o all'alba, generalmente negli ultimi giorni della settimana, per disporre così di un certo tempo prima che i familiari potessero prendere qualche iniziativa. Normalmente una "patota", gruppo formato da cinque o sei persone, irrompeva nella casa. Il gruppo della "patota" era sempre provvisto di un voluminoso arsenale, sproporzionato rispetto alla pericolosità delle vittime. Con armi corte e lunghe minacciava le vittime, i loro familiari e i vicini di casa. L'intimidazione ed il terrore avevano come scopo non solo di bloccare le vittime dell'aggressione, ma miravano anche ad ottenere un

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atteggiamento passivo da parte dei vicini. In molti casi fu bloccato il traffico, venne tolta la luce elettrica, si utilizzarono megafoni, riflettori, bombe, granate in misura assolutamente sproporzionata rispetto alle necessitò dell'intervento. Le "patotas" portavano a termine le operazioni a faccia scoperta, sia nella capitale federale, che nei grandi centri urbani, perchè il loro anonimato era garantito da milioni di facce della città. Nelle province, dove sarebbe stato più facile identificarli, dato che qualche sequestratore avrebbe potuto essere vicino di casa della vittima, dovevano nascondersi i volti. Si presentavano, quindi, indossando passamontagna, cappucci, parrucche, baffi finti, occhiali, ecc. Quando la "patota" doveva effettuare un'operazione, portava con sè il permesso di "luce verde" (o "zona libera"). Così se qualche persona si fosse posta in contatto con 1'ufficio di Polizia più vicino o con la centrale operativa per chiedere il loro intervento, gli sarebbe stato risposto che erano al corrente del fatto, ma che erano impossibilitati ad agire.

Quando c'erano dei bambini nella famiglia che era stata "succhiata" (chupada), la repressione poteva procedere in vari modi: i bambini venivano affidati a qualche vicino di casa, o consegnati a qualche istituto infantile, o sequestrati e poi adottati da qualche aguzzino, o consegnati direttamente ai familiari della vittima, o abbandonati alla loro sorte oppure, ìnfine, trasportati allo stesso Centro Clandestino di Detenzione (CCD), dove dovevano assistere alle torture a cui erano sottoposti i loro genitori o dove erano sottoposti loro stessi a torture in presenza dei genitori.

Nei casi in cui il gruppo di sequestratori non rintracciava le vittime nel loro domicilio, metteva in atto la tecnica chiamata "trappola per topi"; rimanevano cioè nella casa fino a quando il ricercato non cadeva nella trappola. In tali situazioni l'operazione di sequestro si prolungava per ore o per giorni,

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con il cambio della guardia. In questi casi i parenti erano presi come ostaggi e sottoposti a brutali pressioni ed angherie. Se per caso qualcuno si presentava alla porta di casa, anche questi era trattenuto come ostaggio. NeI caso in cui la vittima designata non fosse comparsa, i sequestratori potevano portarsi via le vittime secondarie (parenti ed abitanti della casa).

I furti commessi nel domicilio dei sequestrati erano considerati dalle forze che intervenivano come "bottino di guerra". Questi saccheggi erano compiuti, di solito, durante l'operazione di sequestro, però, frequentemente avvenivano durante un'incursione successiva, nella quale un altro gruppo si occupava dei beni delle vittime. Anche in questi casi la polizia della zona corrispondente era stata avvisata affinchè non intervenisse e non accogliesse le denunce relative di sequestro e furto.

Con il trasferimento del sequestrato al CCD finisce il primo anello di una tenebrosa catena. Minacciati ed ammanettati, i prigionieri vengono sistemati sul fondo posteriore della macchina o nel bagagliaio, aggiungendo allo spavento la sensazione di isolamento e di morte. Lo scopo era di far sì che il terrore non si estendesse oltre la zona nella quale si realizzava l'operazione. In tutti i sequestri le vittime erano private della possibilità di vedere. Nel linguaggio degli aguzzini, si chiamava "tabicamiento" l'azione di mettere alla vittima il "tabique" o elemento che toglie la possibilità di vedere. Tale azione era compiuta nel posto stesso in cui avveniva il sequestro. A tale scopo si potevano usare bende o pezzi di stoffa che gli stessi sbirri portavano con sè o indumenti delle vittime.

In quasi tutte le denunce ricevute dalla Commissione risultano atti di tortura. La tortura fu un elemento importante della metodologia impiegata. I CCD furono pensati, tra l'altro, per poter praticare impunemente la tortura.

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L'esistenza e l'estensione delle pratiche di tortura impressionano per l'immaginazione usata, per la personalità degli esecutori e di coloro che l'hanno approvata, usandola come metodo. Alla tortura fisica che veniva praticata fin dal primo momento, si aggiungeva la tortura psicologica che continuava durante tutta la prigionia, anche dopo la sospensione degli interrogatori e dei

tormenti corporei. A tutto questo si aggiungevano vessazioni e bassezze illimitate. I centri di detenzione, che furono circa 340 in tutto il Paese, costituirono la base materiale indispensabile per la politica di scomparsa delle persone. Di lì passarono migliaia di uomini e donne, privati illegalmente della libertà, per periodi che durarono anni o dai quali non sono più tornati. Lì vissero la loro desaparicion; lì si trovavano quando le autorità rispondevano negativamente alle richieste di informazione nei ricorsi di habeas corpus; lì trascorsero i loro giorni alla mercè di uomini dalla mente sconvolta dalla pratica della tortura e dello sterminio; nel frattempo le autorità nazionali che frequentavano tali centri rispondevano all'opinione pubblica nazionale ed internazionale affermando che gli scomparsi si trovavano all' estero o che erano rimasti uccisi durante rese di conti tra di loro. Le caratteristiche fisiche di questi centri, la vita quotidiana al loro interno, rivelano che furono pensati, prima ancora che per dar morte alle vittime, per sottoporle ad un minuzioso e programmato annientamento degli attributi propri di ogni essere umano. Entrare in quei centri significò sempre smettere di essere: a tal fine si cercò di distruggere l'identità dei prigionieri, si modificarono i loro punti di riferimento spazio-temporali, furono maltrattati i loro corpi e le loro menti oltre ogni limite immaginabile. Tali centri furono clandestini per l'opinione pubblica, i familiari e gli amici delle vittime, in quanto le autorità negarono sempre, in forma sistematica, ogni informazione

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sulla sorte dei sequestrati di fronte alle richieste giudiziarie e degli organismi nazionali ed intemazionali dei diritti umani. Però è evidente che la loro esistenza ed il loro funzionamento furono possibili solo grazie ai mezzi economici ed umani forniti dallo Stato e che tutti, dalle più alte autorità militari fino all'ultimo membro dei servizi di sicurezza che fu parte di questo sistema repressivo, fecero di questi centri la loro base operativa. Tutto ciò fu permanentemente negato, poichè il Govemo militare si servì, anche per questo, del controllo abusivo che esercitava sui mezzi di comunicazione di massa, trasformati in organismi di confusione e di disinformazione dell'opinione pubblica.

Quanto alla loro origine, in alcuni casi si trattava di centri che già prima funzionavano come centri di detenzione. In altri casi si trattava di locali civili, edifici della polizia e, anche, centri delle stesse Forze Armate adattati appositamente perchè funzionassero come CCD. Tutti dipendevano dall'autorità militare che aveva la giurisdizione della zona.

La desaparicion aveva inizio con l'entrata in questi centri, perchè veniva soppresso ogni contatto con l'esterno. Da qui deriva la denominazione di “pozzi” che veniva data a questi antri nel gergo repressivo. Non si trattava solo della privazione della libertà, senza nessuna comunicazione ufficiale, ma di una sinistra forma di prigionia che portava la vita quotidiana alle forme più basse di crudeltà e pazzia.

Il sequestrato arrivava incappucciato, "tapicado'', e casi restava durante tutto il periodo di permanenza nel luogo; ciò gli faceva perdere la nozione dello spazio, privandolo così non solo di ogni contatto con il mondo esterno al "pozzo", ma anche con ogni oggetto immediato, oltre il corpo. La vittima poteva essere aggredita in qualsiasi momento, senza nessuna possibilìtà di

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difesa. Doveva imparare un nuovo codice di segni, rumori e odori per poter indovinare se si trovava in pericolo o se la situazione era tranquilla. Questa fu una delle torture inflitte, secondo le coincidenti testimonianze ricevute dalla Commissione.

Nei CCD si usavano numeri per identificare i prigionieri. A volte erano preceduti da lettere, come forma per sopprimere l'identità dei sequestrati. Si ordinava loro che ricordassero i numeri, appena entravano nel CCD, perchè con quelli sarebbero stati chiamati per andare al gabinetto, alle sessioni di tortura e per essere trasferiti. Questo sistema non solo serviva per far perdere la propria identità al prigioniero, ma aveva anche lo scopo che nessuno, nè guardie, nè carcerieri lo riconoscesse, in modo da impedire che trapelassero all'esterno i nomi dei detenuti.

I CCD furono innanzitutto dei centri di tortura, disponendo di personale specializzato ed ambienti adatti a tale scopo, chiamati eufemisticamente "chirofani", oltre a una serie di strumenti utilizzati nelle diverse tecniche di tormento. Le prime sessioni di tortura volevano ottenere un ammansimento del nuovo arrivato ed erano affidate a personale generico. Appena si era stabilito che il detenuto poteva offrire qualche informazione interessante, iniziavano le sessioni dirette da aguzzini specializzati. Ciò significa che non si arrivava ad una previa valutazione per stabilire se il sequestrato avrebbe potuto fornire elementi interessanti. A causa di questa metodologia indiscriminata, furono sequestrati e torturati membri dei gruppi armati, i loro familiari, amici o compagni di studio o lavoro, militanti di partiti politici, sacerdoti o laici impegnati nella problematica dei poveri, attivisti studenteschi, sindacalisti, dirigenti di quartiere e, in un elevato numero di casi, persone senza nessun tipo di impegno sindacale o politico. Era sufficiente apparire in una rubrica

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telefonica per diventare immediatamente il bersaglio dei tristemente celebri "gruppi di lavoro". Si spiega così come molti torturati accusassero a caso altre persone, pur di far sospendere la tortura.

Nella maggior parte dei casi le reclute non prendevano parte alle attività dei CCD. Neppure partecipava la totalità del personale militare o di sicurezza. La consegna fu di mantenere i CCD come una struttura segreta. Il personale scelto per effettuare la guardia in tali centri era composto da effettivi della Gendarmeria Nazionale, del Sistema Penitenziario Federale o della Polizia, sempre sotto il comando di ufficiali delle Forze Armate.

Le condizioni durante il tempo di prigionia erano penose. I sequestrati rimanevano stretti su materassini sudici di sangue, orina, vomiti e sudorazioni. In qualche caso dovevano fare le loro necessità fisiologiche in secchi che, poi, venivano vuotati; altre volte non si dava loro neppure dei recipienti e quindi erano costretti a farle per terra. I detenuti dovevano chiedere il permesso alle guardie, le quali aspettavano che fossero molti ad alzare la mano, perchè li portavano al gabinetto solo due volte al giorno. Erano portati in "trenino", stretti alla cintura o alle spalle di chi li precedeva, visto che non veniva loro tolto il cappuccio. Ciò si ripetè in quasi tutti i campi, con molte somiglianze, e costituiva uno dei momenti in cui le guardie approfìttavano per soddisfare i propri impulsi sadici, colpendo indiscriminatamente i detenuti. Questi, fossero uomini o donne, dovevano fare la doccia o compiere le proprie necessità fisiologiche alla presenza dei carcerieri. In alcuni campi i prigionieri facevano la doccia in gruppo, rimanendo incappucciati. L'igiene nei gabinetti e nelle celle dipendeva dal buono o cattivo umore dei carcerieri. Ci furono casi in cui le donne furono obbligate a pulire gli orinatoi degli uomini con le mani. Questa mancanza estrema di igiene portava con sè la conseguenza che i detenuti si

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riempivano di pidocchi e, qualche volta, venivano aspersi con insetticidi, come fossero bestie.

In questi centri di prigionia la parola "trasferimento" era associata all' idea di morte. I "trasferimenti" erano vissuti dai detenuti con orrore e con speranza, allo stesso tempo. Si diceva loro che sarebbero stati portati ad altri centri o fattorie in cui avrebbero ripreso le loro condizioni fisiche, allo scopo di evitare resistenze. Ignoravano dove sarebbero stati condotti, se ad un altro centro o alla morte, ciò che generava una paura continua e profonda. Per i "trasferimenti" i detenuti erano generalmente spogliati dei loro vestiti e scarsi oggetti che, poi, venivano bruciati. A volte venivano fatte loro delle iniezioni per intontirli. Si cercava di calmarli dando loro speranze di una remota possibilità di vìta, sentimento che diventava assai forte per il solo fatto d'essere circondati di morte ed orrore. Si sono raccolte numerose testimonianze circa il trattamento che veniva riservato a coloro che sarebbero poi apparsi come "morti in scontri". Tali prigionieri, alcuni giorni prima di essere fucilati, ricevevano una migliore alimentazione, con migliore trattamento igienico, erano invitati a farsi una doccia perchè sarebbe stato difficile spiegare all'opinione pubblica l'apparizione di "estremisti abbattuti in scontri" presentando cadaveri magri, torturati, barbuti e pezzenti. Ciò costituiva una crudeltà inimmaginabile, visto che creava speranze di vita nell' individuo, proprio quando il suo destino era la morte.

NeIla maggioranza dei centri di prigionia le autorità ottennero, mediante tortura, diverse forme di collaborazione da alcuni detenuti. Crearono con loro dei gruppi che, spesso, come corpi ausiliari, compivano attività di manutenzione e amministrazione dei CCD o, in minor grado, funzioni direttamente collegate alla repressione. Così molti uscivano a "lanchear", che

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nel gergo della repressione significa percorrere la città con i catturatori per identificare lungo la strada altri membri del proprio gruppo politico; furono denunciati casi in cui membri di tali gruppi politici intervennero direttamente nell'applicazione di torture ad altri detenuti".

Uno di questi CCD, forse il più "efficiente", nel quale si stima siano passati circa 5000 desaparecidos, fu l'Escuela di Mecanica dell'Armada (ESMA).

Il teste Luis Garcia, già ufficiale di Stato Maggiore dell'esercito argentino, compagno di promozione del componente della giunta Massera, membro del Centro Militari per la Democrazia ("CEMIDA") e nominato perito dal Tribunale di Buenos Aires, come l'allora tenente Urien si ribellò all'uso dei metodi violenti già sostenuti dal dittatore Lanusse; imprigionato, fu poi liberato da Peron che gli affidò incarichi di insegnamento nelle scuole militari, in particolare, presso la Scuola di Difesa Nazionale e presso l'Escuela di Mecanica dell'Armada; la sua testimonianza e, dunque, particolarmente qualificata in quanto, quale ufficiale dello Stato Maggiore, ebbe conoscenza diretta di quanto avvenuto, in particolare all'ESMA dove insegnò nel '76 e '77.

Il teste ha riferito che dopo il golpe venne completamente rivista la struttura e l'organizzazione delle Forze Armate per poter meglio combattere il "nemico" interno e dar corso al "Processo di Riorganizzazione Nazionale": al fine di avere un completo controllo del territorio, l' Argentina venne divisa in cinque zone, ogni zona in sub zone ed ogni sub zona in aree; la zona più importante era la zona 1 che comprendeva la Capitale, la sua provincia e la pampa; la sub zona 1 comprendeva la sola Buenos Aires e fu posta sotto il

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comando dell'Esercito; nella sub zona 1 vi era l' area denominata 3.3.2, corrispondente all'ESMA, sotto il diretto comando della Marina; pertanto, l'ESMA, pur essendo in una sub zona controllata dall'Esercito, in quanto scuola della marina era un'area a sè stante che dipendeva direttamente dall'Ammiraglio Massera e dal suo vice, comandante delle operazioni navali Contrammiraglio Antonio Vanek; l'organigrarnma della scuola era cornposto, oltre al suo comandante Chamorro oggi deceduto, dal capitano di vascello Jorge Raul Vildoza dal quale dipendevano i componenti del gruppo di "tarea" capitano Jorge Eduardo Acosta ed il tenente Alfredo Ignacio Astiz; del gruppo operativo faceva parte anche Hector Antonio Febres, dipendente della Prefettura Navale (con compiti di sicurezza della navigazione paragonabili alla nostra Guardia Costiera, n.d.r.), che a sua volta dipendeva dalla Marina Militare.

Il teste ha confermato i metodi operativi già descritti: generalmente di notte, veniva circondata una zona "liberata" dall'intervento di altre forze di polizia, venivano sfondate le porte delle abitazioni e, con i camion, veniva portato via tutto ciò che poteva avere qualche valore economico (mobili, elettrodomestici, televisori ecc.) considerato bottino di guerra. Venivano spesso sottratti anche i titoli di proprietà delle abitazioni che, poi, falsificati presso un apposito laboratorio di grafica dell'ESMA, venivano intestati ai militari; in altri casi i proprietari venivano costretti a cedere le proprie abitazioni con finti contratti di compravendita.

Ha, infine, confermato la pratica della sottrazione dei neonati di donne fatte sparire dopo il parto.

L'organigramma dell'ESMA, che, peraltro, è pubblico trattandosi di una struttura statale, è stato confermato dal teste Verbitsky, giornalista che durante

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la dittatura faceva parte di un'agenzia di stampa clandestina (ANCLA) che si prefiggeva di far conoscere tutte le notizie censurate dai militari; caduta la dittatura ha dedicato le sue energie al problema dei desaparecidos, problema del quale gli argentini avevano colto la portata solo dopo la caduta della dittatura; prima, pur coscienti dell'esistenza di centri di detenzione clandestina, non avevano potuto capire che si trattava di un sistema esteso a tutto il Paese, con metodo sempre uguale: si rapivano le persone per estorcere con la tortura i nomi di altri che venivano, a loro volta, torturati per avere altri nomi, cosìcchè la catena poteva riprodursi all'infinito.

Al teste si deve il libro "Il volo" contenente l'intervista-confessione al primo ufficiale pentito, capitano Adolfo Francisco Scilingo del quale è acquisita agli atti anche un'intervista videoregistrata.

Riferisce il teste Verbitsky che lo Scilingo, oggi detenuto in Spagna con una condanna ad oltre seicento anni di reclusione, partecipò a due voli sui quali erano imbarcati prigionieri dell'ESMA poichè, allo scopo di coinvolgerli nella conduzione della "guerra sporca", tutti gli ufficiali erano obbligati a partecipare ad almeno uno di questi voli; a Scilingo ne toccarono due: in uno furono gettati in mare diciassette "sovversivi" e, nell'altro tredici; ai prigionieri allineati nel sotterraneo del'ESMA veniva detto che stavano per essere trasferiti in un carcere legale e che sarebbe stata loro praticata un'iniezione di vaccino; veniva, invece, iniettato un potente calmante che li stordiva e consentiva un loro agevole controllo. Caricati su un camion, venivano condotti all'aeroporto ed imbarcati sugli aerei dai quali, dopo qualche ora di volo, venivano gettati uno alla volta in mare, dopo aver loro iniettato un sonnifero che li addormentava ed averli spogliati. Questi voli avvenivano di notte, tutti i mercoledì e, qualche volta, il sabato.

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Già dopo il primo volo l'ex capitano ebbe dei rimorsi, momentaneamente alleviati dal cappellano militare; tuttavia, tali rimorsi li ebbe come uomo mentre, come militare, fu sempre convinto della necessità e della giustezza di quanto stava facendo; non era mai stato costretto da qualcuno a partecipare ai voli; è vero che vi erano ordini in tal senso, ma chi non si sentiva di partecipare a queste azioni poteva dare le dimissioni ed uscire dalla forza armata.

Il Verbitsky ha dichiarato che ordini di questo genere (illegali anche secondo il codice militare argentino) erano sempre e solo orali allo scopo di non lasciarne traccia. Il metodo della eliminazione dei detenuti gettandoli dagli aerei era stato deciso prima del golpe: a gennaio-febbraio '76 tutti gli ufficiali della Marina furono riuniti nella sua più grande base ed il capo delle operazioni navali (Vanek) comunicò loro che era stato scelto questo metodo che era approvato anche dalle autorità ecc1esiastiche.

Ramon Torres Molina era Pubblico Ministero presso il Tribunale di Santa Cruz; impegnato nel settore Giustizia, nulla aveva a che vedere con la lotta armata; ciononostante la notte stessa del golpe, il 24 marzo 1976, fu arrestato e portato, prima in un carcere e, dopo alcuni mesi, in un centro illegale di detenzione dell'esercito dove fu sottoposto a torture con elettricità, colpi su tutto il corpo e finte fucilazioni; era legato ad un letto, impossibilitato a muoversi, con gli occhi sempre bendati e pessimamente alimentato con razioni al limite della sopravvivenza. Successivamente venne tradotto in un carcere per detenuti politici nel quale vigeva un durissimo regime finalizzato alla distruzione fisica e mentale dei detenuti; 1ì rimase fino alla liberazione avvenuta nel gennaio 1983. Durante i sette anni di detenzione non gli fu mai contestato alcun reato, nè fu mai interrogato da un giudice.

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Attualmente è professore universitario ed avvocato di alcune associazioni per i diritti umani, come quella delle Nonne di Plaza de Mayo, impegnate nella ricerca dei numerosi bambini partoriti durante la detenzione da donne sparite; i neonati venivano iscritti all'anagrafe con i cognomi delle famiglie (generalmente di militari che partecipavano alla repressione) alle quali venivano dati: finora, erano stati "recuperati" circa ottanta ragazzi aventi, oggi, un'età compresa tra i venticinque ed i trenta anni.

Come avvocato si è occupato del caso dell'infermiera Genoveffa Frattasi la quale fu fatta sparire insieme all'ostetrica Maria Luisa Martinez De Gonzales solo perchè, su richiesta della prìgioniera IsabeIla Valenzi, aveva comunicato alla famiglia di quest'ultima che la donna aveva partorito una bambina e che stava bene.

La moglie del Molina, che mai si era interessata di politica, fu sequestrata e torturata per la sola colpa di essere sua moglie; in carcere si ammalò di cancro, senza mai essere curata durante i sei anni di prigionia, e morì poco dopo la sua liberazione.

Anche il teste Adolfo Luis Bagnasco, giudice federale, si è occupato del problema della sparizione dei minori ed, in particolare, di quanto avvenuto all'ESMA.

La scuola dopo il golpe fu trasformata in un CCD dove veniva indiscriminatamente praticata la tortura e dove il transito si concludeva solitamente con l'eliminazione del prigioniero; lì operava il gruppo di "tarea" 3.3.2 che aveva ìl compito di sequestrare ed interrogare le persone: i componenti del gruppo, oltre al Comandante della scuola Chamorro oggi deceduto, erano il capitano di vascello Jorge Raul Vildoza, il capitano di fregata Jorge Eduardo Acosta (detto "El Tigre"), il tenente Alfredo Ignacio Astiz ed

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Hector Antonio Febres della Prefettura Navale, molto attivo all'interno dell'ESMA poichè, oltre a raggruppare le informazioni ottenute sotto tortura che trasmetteva ai suoi superiori, si occupava personalmente delle donne incinte e dei nascituri. All'ESMA giungevano donne gravide anche da altri CCD poichè vi era una struttura organizzata volta a reperire i neonati, con una sorta di sala destinata ai parti ai quali assistevano ufficiali dell'ESMA o del vicino ospedale navale. Dal numero dei neonati "recuperati" si evince che la pratica della sottrazione era istituzionalizzata. Il traffico dei minori era gestito con la supervisione del Febres che per tranquillizzare le madri, faceva loro scrivere delle lettere con le quali indicavano a quale dei parenti volevano che il bambino fosse affidato. Le donne incinte venivano torturate meno delle altre perchè vi era più interesse per il nascituro che per le informazioni che avrebbero potuto dare: per questo motivo venivano anche trattate meglio ed, eventualmente, curate; all'ESMA sano stati accertati diciotto casi di parto ed uno solo di aborto.

Di queste donne solo una madre è riuscita a salvarsi riparando all'estero; anche Susanna Pegoraro è stata de tenuta ed ha partorito all'ESMA; il suo corpo non è mai stato ritrovato. Attualmente è aperto un procedimento a carico di un sottufficiale, arrestato, che avrebbe ammesso di aver sottratto la bambina di Susanna Pegoraro; la bambina, oggi donna, ha rifiutato di sottoporsi al test del DNA nel timore di aggravare la posizione del "padre adottivo".

Ha affermato il teste che il contrammiraglio Vanek, quale comandante delle operazioni della Marina, era pienamente responsabile di quanto avveniva all'ESMA in considerazione della struttura fortemente piramidale delle forze armate.

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Eduardo Luis Duhalde, attuale Segretario di Stato per i diritti umani, di professione avvocato, ha indicato, come una vecchia tradizione argentina, l'istituto dell' "habeas corpus" tendente a ritrovare una persona che si suppone detenuta. Con la metodologia illegale della Giunta militare, lo stesso Stato negava la detenzione; nonostante le molte richieste di "habeas corpus", quasi tutte non avevano risposta o l'avevano negativa; per lo stesso avvocato era pericoloso presentare più istanze di questo genere, tanto che ben 140 avvocati sono stati assassinati o sono spariti dopo essere stati sequestrati a seguito di un'operazione denominata "la notte delle cravatte".

La totale illegalità nella quale si viveva, scandita dal puro arbitrio dei militari , fece sì che molte persone portate all'Esma furono rapite non perchè pericolosi sovversivi, ma solo perchè avevano un'ottima posizione economica, allo scopo di appropriarsi dei loro beni mobili ed immobili, o perchè invise a qualche militare per ragioni del tutto personali, come nel caso di tale Branca che venne sequestrato perchè marito dell'amante di Massera. Questi era molto ambizioso e l'ESMA era il suo fiore all'occhiello; poichè, nell'ambito delle Forze Armate, la Marina era considerata meno dell'esercito (gli altri Presidenti militari erano stati tutti dell'esercito), Massera (che pure aspirava alla Presìdenza) ritenne che mostrando la grande efficienza repressiva dell'ESMA, la stessa Marina ne avrebbe guadagnato in termini di prestigio e peso politico; l'equazione era: maggiore repressione - maggiore potere. Paradossalmente proprio per l'ambizione di Massera, oggi si sanno molte più cose sull'ESMA che non su altri tremendi CCD di competenza dell'esercito o dell'aeronautica. Nonostante la clandestinità del loro operato, Massera voleva che altri, vicini al potere, sapessero quanto stavano lavorando "bene" all'ESMA; per tale ragione vi accompagnava in visite guidate industriali, vescovi, personaggi della società

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che avevano appoggiato il golpe, delegazioni militari e, perfino, ambasciatori dei Paesi che avevano aderito al "Piano Condor", mostrando i prigionieri come un trofeo di guerra.

Jorge Raul Vildoza, latitante dal 1987, era a capo del gruppo di "tarea"

3.3.2, soprannominato "petardo" per la sua iperattività nel gruppo; subito dopo vi era Jorge Eduardo Acosta, soprannominato "el tigre" per la sua ferocia; incuteva terrore agli stessi carcerieri.

Hector Antonio Febres, della Prefettura Navale, integrava il gruppo e si occupava particolarmente delle donne incinte.

Alfredo Ignacio Astiz, faceva parte del gruppo ed era molto attivo. Personalmente responsabile della tortura e dell'omicidio della cittadina svedese Dagmar Haghelin, per il suo viso apparentemente pulito riusciva ad infiltrarsi tra i "sovversivi" ed, a tale scopo, si recò a Parigi per spiare gli esuli argentini. Grazie alla fiducia che ispirava, fingendo di essere fratello di uno scomparso, riuscì ad infiltrarsi in un gruppo di madri e parenti di desaparecidos; all'uscita da una chiesa nella quale si erano incontrate, fece sequestrare due madri di Plaza de Mayo e due suore francesi che le accompagnavano. Le due suore, tristemente dette le "suore volanti", viste da alcuni prigionieri dell'Esma, vennero eliminate con il solito metodo del "trasferimento" aereo; il cadavere di una di esse, unitamente a quello delle due madri di Plaza de Mayo ed a numerosi altri, fu trasportato dalla corrente sulla costa atlantica dell'Argentina. I cadaveri presentavano molte fratture e le perizie forensi accertarono che erano state gettate vive dall'aereo in quanto la causa della morte era stato l'annegamento. Per tali delitti Astiz è stato condannato in contumacia in Francia ed è stato aperto un procedimento anche in Argentina. La Marina si servì della cattura delle suore anche per fini propagandistici, accusando del loro rapimento

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il movimento dei Montoneros e facendo circolare una foto, scattata all'ESMA, nella quale le poverette erano ritratte con alle spalle uno striscione dei Montoneros. Tale foto è agli atti ed è stata riconosciuta dal teste.

Il teste stima i desaparecidos in circa 30.000, ma tale stima e certamente per difetto: infatti, poichè alcuni militari coinvolti nella repressione occupano ancora posti di potere, molti familiari, in particolare quelli delle classi più povere, hanno paura a presentare denuncia ed, alcuni di loro che l'hanno fatto, sono tuttora minacciati.

Gli scomparsi transitati nella sola ESMA ammontano a circa 5.000, a fronte di una ottantina di sopravvissuti.

All'interno dell'Esma, i gruppi operativi erano divisi in tre settori: oltre al gruppo di "tarea" vero e proprio, operavano anche i settori cd. di "intelligenza" e di "logistica"; l'intelligenza elaborava tutte le informazioni estorte a quelli sequestrati dal gruppo di "tarea" e la logìstica si occupava della gestione di tutti i beni, mobili ed immobili, sottratti ai prigionieri e della falsificazione di documenti; la suddivisione dei compiti operava, in realtà, solo sotto i1 profilo formale poichè tutti partecipavano anche alle operazioni di sequestro ed alle torture.

L'obiezione di coscienza tra i militari fu preventiva, nel senso che coloro che non intendevano prendere parte al processo di "riconversione nazionale", si dimisero dall'arma di appartenenza; quelli rimasti ed, in particolare quelli dei gruppi operativi, erano convinti della giustezza del loro operato; il teste non conosce un solo caso di obiezione dopo il golpe. Vi furono casi di militari spariti, come quello del tenente Devoto (sequestrato solo perchè chiedeva insistentemente notizie del suocero scomparso e, per punizione, gettato dall'aereo senza essere stato preventivamente addormentato), ma furono

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casi dovuti a situazioni contingenti, più che al rifiuto di eseguire gli ordini: in generale, ci si dimetteva dalle FF.AA. senza dichiarare di non voler obbedire.

Norma Victoria Berti, di origine itallana, fuggì dall' Argentina e dal 1980 vive a Torino; nel 1976 aveva ventidue anni ed era studentessa a Cordoba; in questa città vi fu una repressione spietata perchè era una città industriale nella quale vi era una consistente presenza operaia che già aveva manifestato contro la precedente dittatura, occupando la città per due o tre giorni. Fu sequestrata a Cordoba l'11 novembre del '76 mentre, di pomeriggio, passeggiava con una sua amica ed il fidanzato di costei; arrivarono due Ford Falcon dalle quali scese un gruppo di uomini armati che intimarono l'alt; istintivamente cominciò a correre, ma cadde e due o tre di quegli uomini le furono addosso e cominciarono a colpirla violentemente. Furono presi tutti e trattati subito con estrema violenza. Lei fu legata e le furono messi degli stracci in bocca; la misero nel cofano dell'auto e la portarono in un posto (che successivamente seppe essere il CCD "La Perla") dove, dopo averla denudata, la misero su una brandina di ferro e comiciarono a torturarla con la "picana" che le bruciava la carne; le sessioni di tortura, durante le quali gli aguzzini cantavano "un nome, una casa", durarono, giorno e notte, per una settimana. Chiese dell'acqua, ma non gliela dettero perchè poteva morire e la sua morte dovevano deciderla solo loro. Quando smisero di torturarla (credeva di aver perso tutti denti) la misero dietro un separè al di là del quale erano i prigionieri destinati alla morte; poi la portarono in un altro campo di concentramento, "La Ribeira", per farla riprendere dalle torture. Dopo una settimana la portarono in un carcere legale a disposizione del PEN (Potere Esecutivo Nazionale) dove, comunque, non poteva avere alcun rapporto con l'esterno. Nel maggio del '79

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la rilasciarono senza alcuna spiegazione, così come era avvenuto in occasione del sequestro.

Ha dichiarato di aver saputo che l'amica con la quale fu catturata ha ricevuto delle minacce in relazione ai processi che si stanno attualmente celebrando in Argentina; per lo stesso motivo, un'altra sua amica, avvocato delle Madri di Plaza de Mayo, ha ricevuto minacce e le è stato distrutto lo studio da alcuni sconosciuti che cercavano lei e, non trovandola, hanno ferocemente picchiato la sua socia.

Julio Velasco, noto in Italla quale ex allenatore della Nazionale di volley, era precettore presso il liceo "Nacional" di La Plata; già nel '74 tutti i precettori furono sostituiti con persone di sìcura ideologia di destra, ma solo dopo il golpe iniziò la vera persecuzione, per sottrarsi alla quale, lasciò la casa dei genitori di La Plata e si trasferì a Buenos Aires; aveva consigliato di fare la stessa cosa al fratello che preferì, invece, rimanere con la madre e venne sequestrato due anni dopo. Al liceo Nacional di Buenos Aires gli studenti organizzarono una pacifica protesta per chiedere una riduzione del prezzo del biglietto dell'autobus: questa "grave" insubordinazione costò la vita a ragazzi di 15, 16 e 17 anni; ne vennero sequestrati 105 e, quasi tutti uccisi, a seguito dell'operazione detta della "notte delle matite spezzate" (noche de lapis): i pochi che furono liberati, lo furono al solo scopo di diffondere il terrore.

Vera Vigevani Jarach, ebrea itallana, nata a Vigevano, rifugiatasi in Argentina nel 1939 per sfuggire alle leggi razziali del fascismo, è la madre di una di queste vittime: la figlia Franca di 18 anni, studentessa del collegio Nacional, venne seques trata il 25/6/76; quindici giorni dopo, ricevette una telefonata dalla figlia che la tranquillizzava dicendo che stava bene; temendo che il sequestro fosse stato opera di dellnquenti comuni che avrebbero chiesto

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un riscatto, aveva applicato un microfono al telefono, cosìcchè registrò la conversazione che è agli atti della Corte ed è stata ascoltata in aula. Alla madre non sembrò che Franca avesse paura: d'altra parte la repressione era appena iniziata e nessuno poteva pensare all'orrore scoperto successivamente.

Anni dopo la Vigevani seppe, dalla sopravvissuta Marta Alvares, che la figlia era stata detenuta all'ESMA e che, circa quindici giorni dopo la telefonata, fu "trasferita" con un volo della morte; la Alvares non valle dirle se Franca fosse stata torturata.

Ancora vivo e lancinante è il dolore della teste della quale si riportano esattamente alcune parole, pur sapendo che la forma scritta non fa giustizia dell'emozione con la quale sano state pronunciate o della commozione con la quale sano state ascoltate: "Quando penso alla mancanza di un corpo, alla mancanza di una tomba, e ci penso molto spesso perchè sono ferite aperte, non c'è stata la possibilità di un lutto, nè di una tomba che sono una cosa fondamentale in tutte le culture da che mondo e mondo..... lo dico sempre che ho due storie, con circostanze diverse, ma mio nonno, Ettore Camerino, che restò in Italla, fu deportato ad Auschwitz, fu ucciso e non c'è tomba. E molti anni dopo ecco di nuovo lo stesso destino per mia figlia, non c'è tomba. Ebbene, io ho però da molti anni un impegno molto grande, che è conservare non solo la memoria di mia figlia, che è stata una ragazza veramente d'oro, ma il mio impegno è l'impegno di tutti noi, madri, padri, fratelli è di avere giustizia, sapere la verità, avere giustizia e soprattutto trasmettere una memoria collettiva, che serva per il futuro e vado nelle scuole a parlare, anche qui in Italla, spesso, e molto in Argentina, perchè spero che mai più debbano accadere queste cose!"

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La Vigevani fa parte dell'associazione delle madri di Plaza de Mayo, associazione che si formò in maniera del tutto spontanea, così come spontaneo e casuale fu l’ormai tipico modo di manifestare, girando in tondo nella piazza: tutti i familiari dei sequestrati facevano le stesse cose, recandosi nei posti ufficiali dove si sperava di ottenere delle informazioni; poichè si ottenevano, invece, sempre risposte negative o evasive, alcune madri decisero di rendere pubblica la protesta recandosi in Plaza de Mayo, dove ha sede il governo; era proibito riunirsi in più di due o tre persone ed un poliziotto ordinò loro di circolare, cosa che da quel momento hanno ininterrottamente fatto, girando intorno ad una piccola piramide posta al centro della piazza.

Tra le risposte ricevute in un ufficio governativo, la teste ne ha riferite due: una vo1ta, dopo averle chiesto se la figlia era una bella ragazza ed avutane risposta affermativa, un ufficiale disse che, con ogni probabilità era un caso di tratta delle bianche ed era stata avviata alla prostituzione; in altra occasione le dissero che non capivano perchè si preoccupasse tanto e che doveva pensare che la figlia era in vacanza! Era passato più di un anno dal sequestro.

L'attuale Presidente argentino Kirchner, con grande coraggio civile restituì l'ESMA alla città di Buenos Aires, creando uno spazio per la memoria ed aprendone le porte a parenti o ex detenuti; tra questi anche la Vigevani visitò l'edificio che era stato, però, ripulito e liberato dalle strutture della repressione; ciononostante gli ex prigionieri riconobbero i luoghi dove erano detenuti, dove venivano torturati, dove erano le partorienti, dove era la tipografia. Sebbene i luoghi fossero ormai spogli, i visitatori avvertivano la lugubre e pesante atmosfera che vi aleggiava e, tale fu l'emozione che, per la prima ed unica volta, la teste svenne appena tornata a casa.

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Magdalena Ruiz Guinazu, è stata membro della CONADEP, con lo specifico compito di indagare sull'ESMA; in quella veste fece parte del primo gruppo di civili ammessi al suo interno e l'esperienza fu piuttosto impressionante in quanto i militari erano ancora molto potenti ed, all'interno della scuola, la loro autorità era molto forte; per tutto il tempo della visita furono guardati a vista e ripresi da due fotografi.

Il luogo dove venivano portati i prigionieri era la palazzina degli ufficiali della quale vi è una particolareggiata descrizione, con piantina, nel libro contenente il rapporto della CONADEP (pag. 96). La palazzina aveva tre piani, con un sotterraneo ed un seminterrato; in questi ultimi ed al terzo piano erano sistemati i prigionieri, che non potevano accedere al primo e secondo piano dove erano gli alloggi degli ufficiali. Al sotterraneo si accedeva da una scala a due rampe che collegava tutto l'edificio passando per il piano terra dove era il centro direttivo delle operazioni. Nel sotterraneo venivano portate le persone appena sequestrate; lì vi erano alcune sale di tortura, il dormitorio delle guardie, il gabinetto, l'infermeria ed, accanto ad essa, vi era un laboratorio grafico. Qui venivano radunati i prigionieri avviati ai "trasferimenti".

Al terzo piano vi era la "Capucha" che occupava I'ala destra della mansarda; era un recinto a forma di "L" interrotto ogni tanto da putrelle di ferro che ne costituivano lo scheletro. Non vi erano finestre, ma solo piccoli abbaini che davano su celle chiamate "cabine" o "cucce" ricavate con pannelli di legno che arrivavano al tetto posti a distanza di 60-70 centimetri l'uno dall'altro; in ciascuna cabina vi era un materassino con un prigioniero; non vi era luce nè aria, ma funzionavano degli estrattori molto rumorosi. 1 gabinetti si trovavano tra la "Capucha" ed una zona rialzata dove vi era un locale nel quale erano ammassati i beni "bottino di guerra"; vicino ad esso vi erano tre stanze, una

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delle quali era destinata alle donne incinte i cui bambini sarebbero stati dati ai militari che avevano una lista d'attesa presso l'ospedale navale della città.

Da questa zona rialzata si poteva passare ad un'altra, un pò più alta, detta "Capuchita", dove originariamente si trovava un serbatoio d'acqua che riforniva il circolo ufficiali: nella "Capuchita" furono attrezzate altre due sale di tortura ed un settore dove i prigionieri erano sistemati come nella "Capucha".

In entrambi i luoghi i prigionieri dovevano stare sempre sdraiati, immobili, incappucciati ed in silenzio.

La Guinazu ha dichiarato che i primi tempi i voli della morte venivano effettuati sul Rio della Plata (un fiume grande come un mare, nel quale da una sponda non si vede l'altra), ma successivamente fu scelto l'oceano dopo che, a seguito di una tempesta, alcuni corpi erano affiorati lungo le opposte sponde dell'Uruguay.

Secondo la teste che, durante la visita era accompagnata da alcuni sopravvissuti che circolavano nell'edificio sempre ad occhi chiusi, (condizione loro abituale durante la detenzione), erano state apportate molte modifiche dai militari che, peraltro, già ne avevano apportate all'epoca della visita della commissione interamericana dei diritti umani.

La teste ha dichiarato di non essere religiosa; eppure, entrando nella "Capucha", ebbe la sensazione di una presenza molto forte pensando alle migliaia di persone che erano passate in quell'enorme spazio, ora vuoto. L'ESMA era un CCD terminale come "Campo de Mayo"; da questi due centri partivano i voli della morte. Tutti i testi sentiti dalla CONADEP hanno parlato delle torture subite ad opera di Vildoza, Acosta, Astiz e Febres.

Marco Bechis, regista di nazionalità itallana autore del film "Garage Olimpo" allegato agli atti, viveva a Buenos Aires dove faceva il maestro

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elementare. Nell'aprìle del '77, quando aveva 21 anni, fu sequestrato e portato in un CCD, poi individuato nel "Club Atletico", dove fu torturato per una settimana. Era in un sotterraneo insieme ad una ottantina di altri prigionieri, tutti bendati e legati; le condizioni di vita erano al limite della sopravvivenza, con pochissimo cibo. Veniva legato ad un tavolo metallico e torturato con la "picana"; all'inizio gli mostrarono la manopola che era regolata sulla intensità 2, ma che a fondo scala arrivava a 10, come a dirgli che cominciavano piano, ma che sarebbero andati oltre se non avesse parlato. Non aveva nulla a che fare con la lotta armata, ma era socialmente impegnato e per tale scelta faceva il maestro. Fu arrestato all'uscita dalla scuola indicato da una ragazza che aveva abitato con lui e che era stata torturata e portata davanti alla scuola. La sua permanenza nel CCD durò poco grazie all'intervento del padre, importante funzionario della Fiat, il quale riuscì ad entrare in contatto con il capo dell'esercito di Buenos Aires il quale lo fece prima trasferire in un carcere legale e, poi, espellere in Italla.

Nel realizzare il film, si è avvalso della consulenza del fisico Mario Villani, altro prigioniero del CCD, al quale gli aguzzini avevano chiesto di riparare una "picana" che non funzionava più: i1 ricordo era ancora così vivo che il teste non è riuscito a trattenere le lacrime nel raccontare l'episodio (che qui si tralascia essendo stata assunta la diretta testimonianza del Villani).

Angela Boitano, come già detto aveva due figli poco più che ventenni, Michelangelo ed Adriana, entrambi spariti pur non avendo alcun rapporto con la lotta armata. La teste, componente dell'associazione dei "Familiares de Desaparecidos", ha descritto l'annoso, penoso ed inutile peregrinare tra i diversi uffici pubblici, iniziato dopo il sequestro di Michelangelo e proseguito dopo quello della figlia; in tale suo peregrinare incontrava le stesse persone con i suoi

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stessi problemi e fu del tutto naturale che cominciassero a frequentarsi, dando poi vita all'associazione. Ha descritto la frustrazione nel ricevere risposte evasive o prive di senso, nonchè la pratica usuale della richiesta di danaro in cambio di informazioni false sulla sorte dei figli; neppure dal cugino, ammiraglio della Marina era riuscita a sapere nulla. A proposito del mancato ritrovamento dei corpi, ha testualmente detto: "Si, veramente quello è molto importante e io lo sto sperando ancora e chiedo a Dio salute per poter avere quel, non so come chiamarlo, non è un'allegria ritrovare i resti dei miei figli e l'equipe di Antropologia Forense fa un lavoro straordinario ..... Quando hanno ritrovato i resti di MarceIlo Elman, che ho visto la madre, loro sono ebrei.. ... hanno portato al cimitero un'urna piccola ... e ho visto che la madre l'abbracciava, senza piangere, senza gridare, senza niente e io ho sentito in quel momento che volevo ritrovarli, che era come averli un pò con me ... Ho visto anche un video di ossa ritrovate ... uno scheletro ... e ho visto ... uno dei fratelli prendere la mano e un altro accarezzarlo, accarezzargli il cranio ..... Quello lo sto aspettando, stiamo aspettando quasi tutti, perchè anche quello è una cosa ... non è facile, perchè alcune mamme non vogliono quell'incontro perchè li aspettano vivi, però è una cosa individuale, una cosa che ancora non l'ho capita neanche io ... I nostri figli sono nati e si sano persi nel nuIla."

Carlos Pisoni è figlio di desaparecidos che avevano rispettivamente 28 e 25 anni quando vennero rapiti. Era molto comune che le coppie venissero sequestrate insieme e lui, che aveva 36 giorni, fu molto fortunato perchè i militari lo lasciarono ai vicini che lo portarono dalla nonna. IL teste fa parte dell'associazione "H.I.J.O.S"., acronimo di "Figli per l'Identità e la Giustizia contro l'Olvido (oblio) ed il Silenzio", che raggruppa figli di desaparecidos, di assassinati, di esiliati e di perseguitati dalla dittatura. L' associazione, tra le altre

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attività, ha adottato un originale sistema di denuncia, detto "escrache", parola derivante dal dialetto piemontese che vuol dire: fotografare, mettere in evidenza. Non riuscendo ad avere condanne legali per i torturatori, i componenti dell'associazione hanno cercato la condanna sociale: sapendo dove abitava qualcuno di loro, manifestavano davanti alla casa, marcavano il portone con la vernice, esponevano cartelli con la foto dell'aguzzino e con la descrizione del suo operato. In questo modo i vicini scoprivano la vera identità di costoro e spesso non li salutavano più e li isolavano. In qualche caso i commercianti della zona si rifiutavano di vendere a costoro la loro merce.

Estela Barnes Carlotto, presidentessa dell'associazione delle "Nonne di Piazza de Mayo", coniugata con Guido Carlotto, imprenditore con una fabbrica di vernici, abitava a La Plata ed aveva una famiglia di quattro figli; tra questi Laura che era studentessa universitaria ed aveva venti anni.

Il primo agosto del '77 Laura chiese in prestito al padre un furgone della ditta per traslocare in una casa nuova dove sarebbe andata ad abitare, promettendo che l'avrebbe restituito intorno alle ore 17,00; poichè alle 20,00 non era ancora tornata, il padre decise di andare nella vecchia abitazione della figlia per vedere cosa fosse successo; da quel momento non si ebbero più sue notizie; alle tre di notte la teste, preoccupata, chiese al fratello di accompagnarla a cercare il marito; passarono in auto, senza fermarsi, davanti alla vecchia casa della figlia e videro che era tutta illuminata, con la porta rotta, mentre alcuni uomini stavano portando via tutto. Capì che i militari erano andati a prendere Laura e che, non trovandola, avevano preso il marito (la cosa le fu confermata il giorno successivo da una vicina di Laura).

Cominciò il calvario della ricerca, reso più duro dall'idea di colpa che la dittatura aveva instillato nella gente che spesso pensava: "se li hanno presi,

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qualcosa avranno fatto"; il giorno successivo fu avvicinata da uno sconosciuto che le chiese 40 milioni di pesos (corrispondenti a circa 40.000 dollari) per liberare suo marito; consegnò la somma allo sconosciuto, ma il marito non tornava; finalmente Guido Carlotto fu liberato il 25 agosto; era in condizioni pietose, aveva perso 15 chili nei 25 giorni di detenzione presso una guarnigione di Polizia; appena a casa, raccontò ininterrottamente per otto ore la sua terribile esperienza, le torture, le vessazioni, le donne violentate, le iniezioni che addormentavano i prigionieri che venivano caricati su dei furgoni, i discorsi degli aguzzini che si chiedevano cosa dovevano farne, se portarli al cimitero, se seppellirli da qualche altra parte o se buttarli nel fiume. Alcuni mesi dopo sequestrarono Laura e ricorninciò la ricerca; pagò 150 milioni di pesos per riscattarla, ma inutilmente; tra gli altri andò anche dal Generale Vignone, segretario di Videla, al quale aveva già parlato di suo marito, chiedendogli di risparmiare la vita alla figlia, ma lui rispose che bisognava ammazzare tutti i sovversivi. Ad aprile del '78 seppero da una donna che era stata liberata che Laura era viva, che era incinta di sei mesi e che, se fosse nato un maschio, l'avrebbe chiamato Guido come il padre. Questa notizia riempì di gioia la teste che, come tutte le nonne, preparò un corredino per il nipote; ma la gioia durò pochi mesi, perchè il 25 agosto lei ed il marito furono convocati dalla Polizia che le riconsegnò il corpo di Laura crivellato di proiettili; se avessero tardato un pò, avrebbero seppellito il corpo in una fossa comune come N.N., pur essendo in possesso dei documenti di identità della ragazza; nonostante le richieste, nulla le dissero del bambino. Ufficialmente Laura era morta dopo un conflitto a fuoco perchè non si era fermata ad un posto di blocco; alla fine della dittatura fecero però riesumare il suo corpo ed un'equipe di antropologi forensi stabilì che la figlia aveva partorito e che era stata uccisa con un colpo alla nuca esploso

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da distanza ravvicinata. Le avevano poi sparato numerosi colpi al ventre, probabilmente per impedire la ricerca di tracce del parto. La conferma definitiva che la figlia aveva partorito la ebbe successivamente quando fu avvicinata da un giovane che aveva sorvegliato Laura mentre stava per partorire presso l'Ospedale Militare; costui, che ne riconobbe la foto, aveva ricevuto l'ordine di ucciderla se avesse tentato la fuga.

1 bambini sottratti alle detenute sono almeno cinquecento e, finora, ne sono stati trovati ottantacinque. I militari avevano una loro lista d'attesa e, qualche volta, andavano a vedere le prigioniere per scegliere il colore dei capelli e della pelle del nascituro. Lo stesso Vildoza si era impossessato di un neonato che oggi è a conoscenza che il suo vero cognome è Vignas Pennino.

La teste è conoscenza del caso di Susanna Pegoraro che fu sequestrata insieme al marito e che partorì una figlia all'ESMA. La bambina oggi è stata individuata con le false generalità di Evelyn Policarpo Vasquez e quello che risulta ufficialmente esserne il padre è stato arrestato; costui era della Marina e la ragazza, per non aggravarne la posizione, si è rifiutata di sottoporsi al test del DNA.

Spesso i ragazzi individuati come figli di desaparecidos si sono rifiutati dicendo di non voler sapere, mentre molti altri hanno rotto ogni rapporto con i genitori "adottivi".

Luis Allega, studente di ingegneria venne sequestrato nel giugno '77 in casa dei genitori, una settimana dopo il fratello Jorge; una banda armata entrò con le solite modalità chiudendo nel bagno il padre, la madre e la cognata, si impossessò del denaro, del televisore e di ogni altra cosa di valore e lo portò al "Club Atletico" dove conobbe Bechis e Villani. La maggior parte dei prigionieri sano morti. Appena arrivati, li mettevano in quella che loro

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chiamavano "la leonera" che era uno spazio diviso in settori di un metro per un metro nei quali, in alto, vi era un gancio al quale legavano in piedi il prigioniero in attesa (anche due giorni) dell'interrogatorio; davano loro un codice alfanumerico (il suo era K5 o K7) al posto del nome ed un numero per individuare il lucchetto delle catene alle quali erano sempre legati, nudi. Il primo interrogatorio era solo formale e subito si passava alla tortura che veniva praticata con la picana nei posti più sensibili, pugni, bastonate ed iniezioni di sostanze chimiche; la sadica fantasia dei torturatori talvolta si manifestava con "esperimenti" sul corpo delle vittime, come quando glì inserirono una ventina di aghi nel petto passandovi la corrente per vedere che effetto aveva. Ma tortura era anche la fame, la sete, l'idea di non essere più una persona, il buio, il silenzio.

Circa un mese dopo fu liberato: nella notte tra l'otto ed il nove luglio presero lui ed un altro ragazzo dicendo che li avrebbero fucilati; li portarono fuori dal campo, li misero contro un muro, tolsero loro le bende dagli occhi ed andarono via senza una parola. Dopo venti giorni di "trattamento" aveva perso 30 chili ed a tutt'oggi ha problemi alla vista per la prolungata applicazione della picana agli occhi.

Durante la prigionia assistette ad un "trasferimento": chiamarono i prigionieri dicendo che stavano per consegnarli al P.E.N., che dovevano essere felici perchè venivano legalizzatì, che dovevano far loro un'iniezione perchè erano molto deboli e potevano sentirsi male durante il viaggio; li obbligarono a cantare e li portarono via facendoli sparire.

Il teste era nato in una famiglia molto cattolica, aveva frequentato una scuola religiosa molto ortodossa nella quale era ritenuto una persona certamente anticomunista, tanto che gli proposero di entrare in un'organizzazione per

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lottare contro i marxisti in Cile; aveva una formazione culturale fatta di valori tradizionali e, comunque, molto vicini ad una cultura di destra, anche se era stato critico con le dittature che si erano susseguite nel Paese e che avevano prodotto solo dei danni. In famiglia erano abituati a pensare alle Forze Armate come un baluardo che li avrebbe protetti dalle probabili aggressioni di Cile e Brasile, cosìcchè il padre quasi impazzi poichè erano saltati tutti i suoi parametri di riferimento (Esercito, Patria, Chiesa): in una settimana gli avevano rapito due figli e le autorità ecclesiastiche alle quali si era rivolto, avevano risposto solo che, se l'aveva fatto l'esercito, era ben fatto.

La sua liberazìone (della quale il teste ancora non sa spiegarsi le ragioni) fu un'altra sorta di tortura; aveva perso il lavoro, gli amici di parte progressista ritenevano che fosse un traditore, quelli di parte ortodossa pensavano che fosse un sovversivo; non aveva documenti, non poteva partecipare a concorsi e, soprattutto, sentiva l'assenza di coloro che amava e che non erano stati fortunati come lui.

Jorge Allega, fratello di Luis, simpatizzante della sinistra peronista, lavorava per una ditta di elettronica e lì venne sequestrato da uomini armati e travisati; in primo tempo pensò ad una rapina. Portato al "Club Atletico", passò per la "leonera", gli fu dato il numero con l'avvertenza che se lo avesse dimenticato lo avrebbero ucciso e subì lo stesso trattamento già descritto dal fratello. Dopo l'Atletico, fu portato in altri CCD dove conobbe altri testi dell'attuale procedimento. Ha affermato che all’Atletico si recarono anche alcuni membri dell'ESMA ad interrogare due detenuti: Liliana Fontana ed Enrico Sandoval.

Un giorno, senza alcuna spiegazione, venne liberato.

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Victor Basterra, sindacalista che aveva partecipato a manifestazioni contro la precedente dittatura, venne sequestrato il 10/9/79 insieme alla moglie ed alla figlia di due mesi. Fu portato all 'Esma dove fu torturato a lungo; anche la moglie fu torturata davanti a lui; gli tolsero il cappuccio per mostrargli la schiena della moglie tumefatta e livida per le botte e gli dissero che gli avrebbero messo addosso la figlia rnentre gli squassavano il corpo con la corrente. Dopo circa dieci giorni liberarono la moglie e lo portarono al terzo piano in "capucha", dove passò sette mesi nell'immobilità assoluta, disteso su un materassino in un cubicolo con pareti di legno, incappucciato, senza poter parlare, con musica ad alto volume per ventiquattro ore al giorno; improvvisamente, anche senza alcuna ragione, lo picchiavano violentemente come, del resto, facevano anche con gli altri prigionieri. Durante questo periodo attraversò una sorta di pazzia, rifiutando quel poco cibo immondo che costituiva il vitto, perchè si era convinto che facessero mangiare ai detenuti la carne dei prigionieri uccisi. Lo riportarono, poi, nel sotterraneo dove, vicino ad una camera di tortura detta "oviera" perchè insonorizzata con cartoni da imballaggio delle uova, c'era un ufficio, detto settore 4, con una sorta di laboratorio nel quale si falsificavano documenti personali, di autovetture, atti di proprietà immobiliare; essendo un grafico specializzato in valori bancari, gli ordinarono di lavorare lì ed è in questo ufficio che realizzò i passaporti falsi per Gelli. Per la sua posizione ebbe accesso a documenti segreti dell'ESMA che riuscì a nascondere tra il materiale fotosensibile che i militari non aprivano per timore di bruciarlo. Tale documentazione, che riporta nomi e fotografie di prigionieri e di torturatori dell'ESMA, all'udienza del 16/11/06 è stata acquisita agli atti del procedimento, in forma cartacea ed informatica (CD).

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Nel '76-'77 all'ESMA operavano Vildoza che aveva come nome di battaglia "Gaston", Acosta, detto "el tigre" ed Astiz, che aveva personalmente catturato numerosi prigionieri ed era detto "el cuervo" o "el rubio" per il colore dei capelli. Questi, quando fu liberato dagli inglesi dopo la guerra delle Malvinas, andò all'ESMA e si fece fare dei documenti falsi con il cognome "Abramovich". Alla scuola vi era anche Febres, detto "Selva" o "Gordo Daniel" (il grasso Daniel) che lo torturò personalmente; gli avevano messo sulla testa un cappuccio tanto sporco e pieno di sangue raggrumato (quando passa la scarica elettrica ci si morde la lingua e si perde molto sangue) che era diventato rigido, sicchè poteva vedere il volto del Febres da sotto la capucha, mentre era disteso sul tavolo di tortura; questi sembrava godere particolarmente nel mettere la "picana" sotto le unghie dei piedi. Il Febres comandò l'operazione di spostamento dei prigionieri sull'isola del delta del fiume prima della visita della commissione interamericana per i diritti umani; lì i prigionieri erano tenuti in una baracca su palafitte, molto umida, quasi a livello dell'acqua del fiume che, infatti, entrava dentro quando pioveva; era stata chiusa con dei mattoni, lasciando solo una piccola finestra ed in quello spazio angusto erano sdraiati tutti i prigionieri, vicinissimi l'uno all'altro e sempre con in testa la capucha; rimasero lì un mese, bevendo acqua inquinata e tutti si ammalarono.

In dibattimento gli è stato chiesto se la sua attività nel "settore 4" potrebbe definirsi una collaborazione e la risposta è stata: " .... Noi eravamo condizionati dalla paura e dal dolore: la paura di essere uccisi in ogni momento ed il dolore di sentire, comunque, le urla strazianti dei compagni che venivano torturati...C'era un ufficiale che quando io lavoravo nel laboratorio veniva ogni settimana o ogni dieci giorni, tirava fuori la pistola, me la metteva in testa e mi 1.diceva “Qualche giorno ti sbaglierai e quel giorno sarò lì per ucciderti".

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Basterra rimase prigioniero all'ESMA fino al 1983, forse fin dopo la fine della dittatura, "dimenticato" nei sotterranei della scuola; in precedenza, però, a partire dal 1980 gli erano stati consentiti brevi incontri con la famiglia che si allungarono progressivamente fino ad anche due giorni; in tali occasioni, riuscì, poco alla volta, a portar fuori i documenti raccolti, nascondendoli tra i genitali. Nei sotterranei ebbe modo di conoscere Mario Villani.

Mario Cesar Villani, professore di fìsica all'Università di La Plata ed attivista del sindacato dei professori, fu sequestrato il 18 novembre del '77 a Buenos Aires dove si era trasferito per paura di essere preso. Portato al "Club Atletico" fu torturato ininterrottamente per due giorni e mezzo, finchè gli aguzzini si accorsero che non aveva più informazioni da dare; generalmente la tortura aveva inizio senza che venisse posta alcuna domanda, al solo scopo di fiaccare la resistenza del detenuto ed, anche nel suo caso, la "picana" lavorò per circa un'ora e mezza, mentre gli urlavano insulti e lo picchiavano, senza tuttavia fargli alcuna domanda. Deve la sua sopravvivenza al fatto di essere un fisico e di avere nozioni di elettronica, cosìcchè lo misero a riparare tutte le apparecchiature guaste che avevano rubato nelle case e che, poi, vendevano. Un giorno un torturatore gli chiese di riparare una "picana" che non funzionava più, ma lui si rifiutò dicendo che non poteva riparare uno strumento di tortura; temette che il rifiuto potesse costargli la vita ed, invece, l'aguzzino con sottile ricatto gli disse che avrebbe continuato con un trasformatore variabile, sapendo che con tale strumento la tortura era peggiore e poteva risultare mortale; infatti, i prigionieri entravano più spesso in coma e, per farli riprendere, li portavano in infermeria avendo cura di mostrarglieli nel passare davanti alla stanza dove lavorava; dopo circa quindici giorni, non sopportando più la cosa, decise di riparare la "picana", approfittandone per modificarla, all'insaputa degli

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aguzzini, in modo che somministrasse una minore quantità di corren te e provocasse minori sofferenze.

L'episodio è descritto esattamente nel film di Bechis "Garage Olimpo" del quale il teste è stato consulente.

Fu, poi, portato in cinque CCD diversi, trascorrendo in quelle condizioni di prigionia ben tre anni ed otto mesi. In tutti i campi di detenzione clandestina era presente l'ideologia nazi-fascista con esposizione di svastiche e fotografie di Hitler o Mussolini. Per tale ragione i prigionieri di religione ebraica subivano torture ed umiliazioni peggiori degli altri; mentre era all'Olimpo, fu sequestrato un ragazzo giovane che assommava in sè le peggiori colpe possibilì poichè era ebreo, comunista ed insegnante. Uno di quelli che lo aveva catturato, Julian "il turco", che aveva una svastica come ciondolo, ne fece un caso personale e volle torturarlo nel suo stesso ufficio; lo fece denudare e legare in piedi, con il busto piegato sulla scrivania; gli infilò un manico di scopa nell'ano e corninciò a dargli l'elettricità, non con la "picana", ma con due fili collegati direttamente ad una presa al muro: gli spasimi dello sventurato erano violentissimi, tanto che il manico della scopa gli perforò l'intestino e lo uccise. Il giorno dopo la sua morte arrivò l'ordine di liberarlo perchè il giovane era un quadro del Partito Comunista ed il Governo non voleva conflitti con questo partito; era, infatti, molto interessato a mantenere buoni rapporti con l'Unione Sovietica che era la principale acquirente del grano argentino. Julian disse: "meno male che I'ebreo di merda è morto perchè, altrimenti, l'avrei dovuto rilasciare".

Il Villani, nel descrivere quanto la mente dei torturatori fosse invasa dalla follia e quanto fossero stravolti tutti i parametri di normali relazioni tra esseri umani, ha riferito che nel CCD "Il Banco" uno degli aguzzini,

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soprannominato "sangre", evidentemente per la ferocia mostrata durante i suoi interrogatori, spesso si fermava a parlare con i prigionieri degli argomentì più diversi; in alcune delle conversazioni raccontò che era molto preoccupato perchè la figlia, di sei o sette anni, prendeva brutti voti a scuola ed un giorno si presentò al campo tenendo la bambina per mano e, mostrandola ai prigionieri, disse: "A lei ho tanto parlato di voi ed a voi ho tanto parlato di lei che volevo che vi conosceste".

Nel marzo '79 giunse all'ESMA dove conobbe il detenuto Basterra cui era stato affidato il compito di falsificare documenti; tra gli altri, su ordine dei militari, formò una patente falsa per lo stesso Villani per consentirgli di guidare un'auto quando gli concessero di uscire con dei permessi: il documento è stato consegnato, come prova, al Tribunale di Buenos Aires. Entrambi facevano parte di un gruppo di prigionieri che veniva chiamato “staff” che lavorava, con compiti diversi, e che per tale ragione veniva trattato meglio; ciò non escludeva che in qualsiasi momento, per qualsiasi ragione, qualcuno poteva essere ricondotto in "capucha" nelle condizioni di mera sopravvivenza già descritte. Al Villani era stato affidato il compito di curare una sorta di rassegna stampa della quale si occupavano anche altri detenuti; ognuno trattava un certo argomento (educazione, insegnamento, politica intemazionale, economia, ecc.) compilando una relazione di tutto ciò che avevano letto.

Il teste ha confermato l'episodio dell'occultamento dei prigionieri sull’isola, guidato personalmente dal Febres, descrivendo le pessime condizioni di vita sulle palafitte.

Ha confermato, inoltre, i periodici "trasferimenti" con i voli della morte e la presenza di donne gravide che partorivano nella scuola.

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L'ESMA ha avuto molteplici cambiamenti nella struttura dei locali durante gli anni ed avvicendamenti vi sono stati anche tra i componenti del gruppo di "tarea"; di conseguenza, essendo stato portato lì solo nel marzo '79, non tutti gli aguzzini gli sono personalmente noti: ha, comunque, riconosciuto tra i frequentatori della scuola Acosta, Vildoza e Febres. Anche la brutalità della repressione ha subito dei cambiamenti, probabilmente di pari passo con la forza politica della dittatura; così, se ad inizio degli anni '80 molti prigionieri venivano liberati, nei primi anni questo era un evento molto raro e l'ESMA era ritenuto un campo terminale.

La sua liberazione fu graduale ed iniziò con una visita alla moglie, accompagnato da due torturatori Juan Carlos Linares e Juan Antonio Del Serro; la visita durò un paio di ore durante le quali i due si comportavano come graditi ospiti, consumando tè o birra che la moglie aveva offerto. Un mese dopo gli concessero un'altra visita ed, un mese dopo ancora, lo riportarono a casa dicendogli che poteva fermarsi a dormire e che sarebbero tornati a prenderlo il mattino successivo; gli dissero che, se voleva, poteva fuggire perchè non avrebbero lasciato nessuno di guardia, ma che in tale caso avrebbe fatto bene a portare con se tutta la famiglia che, altrimenti, avrebbero sterminato. Naturalmente non fuggì ed il trattamento di "recupero" proseguì con licenze più lunghe; insieme ad altri "recuperandi", il sabato veniva portato in un bar nei pressi dell'ESMA da dove ognuno prendeva un autobus per la propria casa e dove tornavano la domenica sera per essere ricondotti all'ESMA.

Nilde Noemi Actis Goretta, venne sequestrata il 19/6/78; un anno prima era stato sequestrato il marito, oggi scomparso e, temendo il sequestro e la tortura, aveva sempre con sè una pasticca di cianuro che, però, non riuscì ad ingerire per la rapidità degli aggressori; condotta all'ESMA, come al solito, fu

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torturata; le sessioni erano condotte da un solo torturatore, ma in a1cuni momenti entravano altri uomini che la interrogavano; tra questi, successivamente, riconobbe dal timbro delle voci il "tigre" Acosta ed il "gordo" Febres. Dopo le sessioni di tortura venne portata in "Capucha" dove le guardie si dìvertivano a far correre i prigionieri bendati e con le mani legate finchè sbattevano contro le putrelle di ferro che reggevano il tetto. Un mese o due dopo il sequestro, grazie alla sua specializzazione in belle arti, fu assegnata allo "staff" dove le fu affidata la falsificazione di documenti; in questo periodo vide che Acosta, Febres ed Astiz, quotidianamente, frequentavano il sotterraneo ed anche Vildoza vi si recò alcune voIte: Vildoza era una persona molto importante, di grado superiore ad Acosta. IL sotterraneo le sembrava un girone dantesco: poteva circolare senza il cappuccio e poteva vedere persone che venivano trascinate alla tortura, sentire le loro urla, assistere alla nascita di un bambino da una donna che, subito dopo, sapeva che sarebbe stata uccisa perchè, le dissero espressamente i militari: "I bambini non possono rimanere con le famiglie, altrimenti saranno allevati nuovamente come sovversivi".

Non vi era un motivo specifico per il quale si entrava nello "staff", e l' essere scelti generava dei sensi di colpa, anche se colpa non vi era; mai le fu proposto, durante la tortura di tradire i compagni e collaborare in cambio dell'ingresso nena "staff".

Nel febbraio del '79 fu portata in un'abitazione "bottino di guerra" che altri detenuti si occuparono di rimettere a posto, date le pessime condizioni dovute ai fori dei proiettili; in questa casa continuò a lavorare per i militari fino alla definitiva liberazione.

Graciela Dora Ojeda, e moglie di Dante Gullo, noto dirigente della gioventù peronista; Dante fu arrestato nel 1975 dalla precedente dittatura e

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detenuto in un carcere ufficiale a disposizione del PEN, fino al ritorno alla democrazia nel 1983. La suocera della teste, Angela Maria Aieta, era impegnata sul fronte del miglioramento delle condizioni di vita non solo del figlio Dante, ma anche degli altri detenuti politici. Il cinque agosto del 1976, ben quindici individui, armati di tutto punto, penetrarono nell'abitazione della suocera e la portarono via, non prima di essersi impossessati di gioielli ed altro. Erano i primi tempi della repressione ed i familiari aspettavano il ritorno dell'anziana donna della quale, invece, non ebbero più notizie. Successivamente appresero da Marta Remedios Alvarez che l'Aieta era detenuta con lei all'ESMA e la cosa venne confermata anche da Horacio Peralta e dalla moglie Hebe Lorenzo. La teste ha dichiarato a proposito della Aieta: "Ho la certezza che era stata sequestrata da un gruppo di "tarea" appartenente all'ESMA; ho la certezza che lei è stata in vita all'intemo dell'ESMA; ho la certezza che è stata torturata all'intemo dell'ESMA; ho anche la certezza che è stata trasferita dall'ESMA e che la parola trasferimento significava morte".

Anche l'Ojeda, circa un anno dopo, venne sequestrata insieme al cognato Leopoldo Gullo e torturata con lui; li misero a terra, una sull'altro, in modo che le scariche elettriche passassero ad entrambi, ordinarono loro di avere rapporti sessuali ed, infine, li torturarono separatamente. Due giorni dopo liberarono Leopoldo ed, il giorno successivo, liberarono pure lei.

Anche la moglie di Leopoldo fu sequestrata per un giorno, mentre il fratello Jorge Gullo, che era stato in Europa per denunciare la scomparsa della madre, morì all'ESMA sotto tortura.

All' esito della testimonianza, la Ojeda produceva una foto di Angela Maria Aieta che la Corte acquisiva.

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Horacio Peralta fu sequestrato con la compagna Hebe Lorenzo e portato all'ESMA; facevano domande a lui e torturavano lei e viceversa. Terminata la tortura venne portato in "Capucha" dove, ricorda, non si mangiava quasi niente; lì vi era un'intera famiglia sequestrata, padre, madre e due figli ed erano disperati e piangevano; una signora anziana si avvicinò a loro cercando di tranquillizzarli, e le parole di conforto di questa donna ebbero effetto sullo stesso teste e su tutti gli altri prigionieri, uno dei quali gli disse che la signora era la madre di Dante Gullo, notissimo dirigente della gioventù peronista. La moglie Hebe Lorenzo, che fu liberata dopo di lui, gli raccontò che aveva dormito in "Capucha" a fianco ad una signora la quale le disse che era la madre di Dante Gullo.

Prima di liberarlo, lo mandarono in una casa in campagna per farlo riprendere fisicamente.

Dante Gullo era in carcere a disposizione del PEN e seppe da una guardia carceraria che la madre cinquantacinquenne era stata sequestrata come rappresaglia per il suo impegno in favore dei detenuti.

Leopoldo Gullo ha confermato quanto già detto dalla cognata Graciela Ojeda; oltre alla madre è desaparecido anche i1 fratello Jorge.

Hebe Lorenzo lavorava nel sindacato argentino degli attori. Il 26/8/76 fu sequestrata per strada insieme al suo compagno Horacio Peralta. Portata all'ESMA, la sottoposero immediatamente alla tortura con la "picana", botte in tutto il corpo, minacce con la pistola in bocca e nella vagina. Ebbe degli scompensi cardiaci a seguito dei quali la tortura veniva sospesa fino a che un medico dava i1 consenso per riprenderla. Volevano l'indirizzo di un'agenzia immobiliare e disse che non lo ricordava ma, per far sospendere la tortura, si offrì di accompagnarli. La portarono in giro per individuarne i1 titolare, ma lei

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non lo indicò, cosìcchè la riportarono all'ESMA dove ripresero a torturarla con molta più violenza. Ana fine di novembre la portarono in carcere; in quei tre mesi all'ESMA furono internate circa mille persone; ai prigionieri veniva assegnato un numero a tre cifre, da 001 a 999; il suo numero di ingresso era il 385 e, quando la portarono in carcere era già da tempo iniziata una nuova nurnerazione.

Poco dopo il sequestro, la notte del 5 settembre, un militare, detto "Salomon", le comunicò che la mattina seguente sarebbe stata uccisa insieme ad altri; quando andarono a prenderla sentì dalla radio di un militare che l'ordine per il 385 era stato revocato. Era viva per pochi minuti grazie all'mtervento del padre, ex colonnello, che era andato ad intercedere direttamente da Massera.

Conobbe Angela Maria Aieta nella "Capucha" dove erano detenute; nonostante la musica assordante, potevano scambiare qualche parola perchè erano fianco a fianco; fu lei a dirle che era la madre di Dante Gullo che la teste conosceva perchè erano entrambi della gioventù peronista.

Un mercoledì, giorno dei "trasferimenti", la portarono via. Una guardia le fece capire che era stata uccisa.

La teste era tra quelli che visitarono l'ESMA quando fu aperta al pubblico e, muovendosi con gli occhi chiusi, riconobbe tutti i luoghi, perfino il giaciglio dove era sdraiata. La vita in "Capucha" era insopportabile: la Lorenzo testualmente ha dichiarato: "Eravamo sdraiati su un piccolo materasso appoggiato sul pavimento, avevamo delle catene ai piedì, eravamo ammanettati.. ... Non so se Maria (Aieta) aveva sia una benda sugli occhi che il cappuccio in testa, immagino di sì.. .. Eravamo sempre sdraiati, non avevamo diritto nè di muoverci, nè di parlare; se ci muovevamo, e loro ritenevano che in

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realtà volevamo vedere attraverso il cappuccio, ci picchiavano con gli stivali, e lei ne ha avuti di questi colpi, perchè a un certo punto hanno scoperto che stavamo parlando e ci hanno picchiato con i fucili e, quindi, tre o quattro di loro hanno cominciato a colpirci con gli stivali, a calci. Poi c'era la cerimonia della bacinella, perchè siccome c'era una bacinella ed eravamo circa trecento persone .... ci si impiegava molto tempo, quindi c'erano molte urla, molti lamenti, perchè se noi, diciamo così, ci pisciavamo addosso, ci picchiavano per molto tempo .... Il pomeriggio passava allo stesso modo .... e normalmente la notte trascorreva in maniera più tranquilla".

Le guardie erano chiamate "verdi", per il colore della divisa, o "Pedros" perchè disponevano delle chiavi del Paradiso; due di esse le dissero che erano stati addestrati alla scuola di Panama. C'era un militare, in particolare, di cognome Benassi, detto "Salomon" (lo stesso che le aveva detto che la mattina seguente sarebbe stata uccisa) che si divertiva a torturala per il solo piacere di farlo: anche il giorno in cui dovevano mandarla in carcere, la costrinse a fare una sfilata nuda, con la capucha in testa, tra le guardie che la palpeggiavano e la deridevano.

Acosta, detto "el tigre", dirigeva tutto e le stesse guardie lo temevano, diventando più violente in sua presenza.

Dopo la prigione fu espulsa in Paraguay da dove riuscì a fuggire raggiungendo l'Europa. Il 17 ottobre 1977 si trovava a Parigi dove si stava organizzando una festa di ex militanti peronisti; poichè vi era molto lavoro da fare, chiese al comitato organizzatore di mandare qualcuno ad aiutarla; mandarono un uomo che riteneva fosse un compagno fuggito da un campo di detenzione che, però, ogni volta che le parlava, le provocava una fortissima e negativa emozione; lui faceva tante domande e lei raccontò alcune cose come la

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sua fuga dal Paraguay; la sera, durante la festa, qualcuno riconobbe quell'uomo gridando che era Astiz ed egli si dette immediatamente alla fuga. Solo allora capì le ragioni del suo turbamento e ricordò che quella voce l'aveva ascoltata quando era all'ESMA. Il giorno successivo le telefonò il padre e le disse che in Paraguay la polizia aveva fatto irruzione nella casa dove abitava, sequestrando e picchiando la persona che l'occupava dalla quale volevano sapere perchè era fuggita.

Ad una domanda della difesa, spesso rivolta anche ad altri testi, rispondeva che non le risultavano casi di detenuti dell'ESMA trasferiti ad altri CCD: l'unico caso che conosceva era quello del suo compagno Peralta (che non fu trasferito in altro CCD, ma in una casa -n.d.r.).

Infine la teste ha dichiarato di non aver mai sentito di atti di insubordinazione da parte dei militari, ma solo di gente che voleva abbandonare; in particolare ha ricordato un medico militare che ebbe una crisi nervosa dopo una riunione con Massera: l'abbracciò e scoppiò a piangere dicendo che non si poteva andare avanti così, che se si fosse continuato in quel modo si sarebbe ucciso; non riusciva più a fermarsi, tanto che dovettero letteralmente staccarlo da lei.

Marta Remedios Alvarez, il 26 giugno del '76, all'età di 23 anni, fu sequestrata e portata all'ESMA; dopo aver subito il solito trattamento, venne inviata in "Capucha" dove, in agosto, arrivò una detenuta che si distingueva da tutti gli altri perchè aveva una certa età: ebbe modo di parlare con lei e di vederla in volto: la teste era in bagno, dove era consentito togliersi il cappuccio, e stava piangendo, quando le si avvicinò una donna e le chiese se aveva bisogno di aiuto. Riconobbe Maria Angela Aieta che, un anno prima, aveva visto ad un incontro sulle condizioni dei prigionieri politici; in quella sede la

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donna aveva fatto un intervento pubblico, presentandosi come la madre di Dante Gullo. Per alcuni giorni sentì chiamare il suo nome dalle guardie che l'accompagnavano in bagno, ma in seguito non la chiamarono più, Il 20 ottobre del '76 sequestrarono più di cento persone, ma i locali dei prigionieri erano già così pieni, che non vi era materialmente posto per i nuovi arrivati, finchè i militari non procurarono lo spazio organizzando un "traslado" per un equivalente numero di persone; probabilmente in questo "trasferimento" fu compresa anche l' Aieta.

La teste venne, poi, inserita nel cd. "mini staff", poi allargatosi in "maxi staff" e spostata in un'altra stanza sullo stesso piano della "Capucha"; Massera era un uomo molto ambizioso che aveva intenzione di fondare un partito politico ed, a tale scopo, aveva deciso di servirsi dei detenuti per realizzare una rassegna stampa che potesse tenerlo informato su diversi argomenti di rilevanza politica. La partecipazione allo "staff" le consentì una più diretta conoscenza del gruppo di "tarea" 3.3.2, diviso in un settore di intelligenza, che era quello che faceva gli interrogatori, ed un settore operativo che si occupava dei sequestri.

Vildoza era il capo di Acosta che era il capo dell'intelligenza; la presenza di quest'ultimo incuteva paura agli stessi suoi sottoposti, Astiz faceva parte del gruppo ed usciva a sequestrare le persone. Il gruppo 3.3.2 era, comunque, composto da molte altre persone a lei sconosciute; tutti gli ufficiali sapevano ciò che accadeva perchè vedevano continuamente prigionieri incappucciati che salivano le scale passando per i piani dove erano i loro alloggi. Le decisioni sulla vita delle persone, su chi doveva essere "traslado", venivano prese in riunioni alle quali partecipavano tutti i componenti del gruppo.

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Vanek, in uniforme, andò alcune volte in visita all’ESMA, sia nel "sotano" che nella "Capucha" per controllare tutto il funzionamento della scuola; l'ammiraglio era uno dei capi della Marina e l'ESMA era della Marina. Sa che si trattava di Vanek perchè così si presentò lui stesso.

La Alvarez quando venne sequestrata era incinta da poco tempo e trascorse tutta la gestazione all’ESMA. Nel marzo '77 era sul punto di partorire e fu portata prima nell'infermeria del "sotano", poi all’ospedale militare perchè vi erano delle complicazioni; ebbe un bambino, Federico, con il quale fu sistemata nella stanza al piano della "Capucha" che, successivamente, venne allestita come stanza delle puerpere; lì partorì anche una sua amica, Silvia Lavairu, la cui bambina fu consegnata alla famiglia. Per quanto le consti, il suo e quello dell'amica sono gli unici casi di donne sopravvissute al parto ed i cui figli sono stati consegnati alle rispettive famiglie.

La Alvarez era membro dei Montoneros, così come la sua amica Silvia Laivaru; i Montoneros, oltre ad un'attività politica, praticavano anche la lotta armata e lei, ancora oggi, non riesce a spiegarsi per quale motivo furono scelte per far parte dello "staff".

Il fatto di essere tra i pochi sopravvissuti di quel primo, feroce periodo le creò forti sensi di colpa.

Inocencia Luca Pegoraro, moglie di Giovanni e madre di Susanna, la sera del 18 giugno 77 seppe, dalla telefonata di un amico, che entrambi erano stati sequestrati a Buenos Aires; il marito era un impresario edile e la figlia una studentessa universitaria della Gioventù Peronista; aveva 21 anni ed era incinta al quinto mese.

Il P.M. produceva due fotografie che la teste riconosceva come quelle del marito e della figlia.

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Solo un paio di anni dopo seppe che erano stati all’Esma leggendo un quotidiano brasiliano del 14/10/79, nel quale erano riportate le dichiarazioni di alcune ex detenute dell’ESMA. L'articolo, acquisito agli atti, reca il titolo "Il mattatoio umano di Buenos Aires".

Anni dopo apprese che la figlia aveva partorito una bambina e che il militare che l'aveva ottenuta, Policarpo Vasquez, era stato arrestato; secondo un quotidiano, aveva ammesso di non esserne il padre biologico, ma di averla ricevuta da un ufficiale che gli disse di non fare domande. La bambina, della quale è stata prodotta una recente foto a colori (di incredibile somiglianza con Susanna Pegoraro), venne iscritta all'anagrafe con il nome di Evelyn Carina. La teste incontrò la ragazza, ormai ventunenne, e le si avvicinò dicendole che era la nonna e che voleva parlarle; Evelyn accettò di incontrarla, ma in un altro momento, dicendo che l'avrebbe chiamata, cosa che non ha mai fatto. La ragazza si rifiuta di sottoporsi alle analisi per non peggiorare la posizione delle persone alle quali era stata affidata.

Seppe che, dopo la nascita, la bambina era stata portata via dal Febres. La teste è di cittadinanza italiana, così come lo erano il marito e la figlia ed, al riguardo, è stata prodotta idonea documentazione dal P.M.

Lisandro Raul Cubas venne sequestrato il 20/10/76; era un montonero e portava sempre con sè un capsula di cianuro che, in un momento di distrazione dei sequestratori, ingoiò: se ne accorsero e lo colpirono pesantemente alla testa con il calcio di un'arma facendogli perdere i sensi; si risvegliò in un sotterraneo su un mucchio di cadaveri dove lo avevano gettato ritenendolo morto; cercò disperatamente di non respirare, di non muoversi, ma si accorsero che era vivo ed iniziarono a praticargli un rudimentale lavaggio gastrico al quale cercò di opporsi, ma inutilmente perchè lo addormentarono

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con una sostanza chimica. Al risveglio cominciarono a torturarlo, andando avanti per tre giorni consecutivi: Acosta era uno degli aguzzini. Terminate le sessioni di tortura lo condussero in "Capucha" dove ebbe inizio la tortura psicologica: con il cappuccio perennemente sulla testa, le mani legate dietro la schiena ed una palla al piede, perse completamente la nozione del tempo e la coscienza di sè; dopo due mesi non riusciva più a riconoscersi con nome e cognome, ma solo col numero 571 che gli era stato assegnato. I cappucci indossati dai detenuti erano di due colori: bianco, se vi era qualche possibilità di liberarlo, grigio se era destinato alla morte. Il suo cappuccio era grigio.

Non vi era un criterio in base al quale i militari facevano l'una o l'altra scelta, tutto dipendeva dal puro arbitrio; Acosta diceva sempre che loro erano i padroni della vita e della morte. Di tanto in tanto liberavano qualcuno per diffondere il terrore e per creare divisioni tra i compagni ancora liberi.

Lo stesso teste, dopo la sua liberazione avvenuta i119/1/79, fu creduto una spia dei militari e, da quel momento, si è posto continuamente la domanda sul perchè fosse stato liberato, pur essendo di estrema sinistra; la risposta è sempre la stessa, quella dell'assenza di ogni criterio per cui persone molto impegnate politicamente oggi sono vive, mentre gente che non si era mai interessata di politica oggi è scomparsa.

Nei primi giorni passati in "Capucha" sentì una guardia che si rivolgeva ad una donna con una certa umanità, chiamandola "vecchia", come in Argentina si usa nel rivolgersi alla madre, e rassicurandola che presto sarebbe stata legalizzata; incuriosito, riuscì a parlare con la donna perchè erano vicini e lei gli disse di essere la madre di Dante Gullo, uno dei più noti dirigenti della Gioventù Peronista.

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I prigionieri, se potevano, cercavano di parlare il più possibile, di scambiarsi informazioni per far avvertire i familiari se qualcuno di loro fosse stato liberato: un posto dove era possibile parlare era il bagno, dove potevano levarsi il cappuccio per lavarsi.

In una data che non era in grado di precisare, tra il giugno ed il luglio del 1977 incontrò nel bagno una ragazza bionda, dalla carnagione chiara, che disse di chiamarsi Susanna Pegoraro; gli disse anche che era stata sequestrata con il padre che era un impresario edile e che non riusciva a spiegarsi perchè lo avessero sequestrato. Successivamente seppe che questa ragazza era sparita e Sara Osatinsky gli disse che aveva partorito verso la fine dell'anno 77. Aggiungeva che al terzo piano dell'ESMA, a fianco del bagno, vi era una stanza adibita al parto delle detenute. L'ufficiale che si occupava di loro non era della Marina, ma della Prefettura Navale; si chiamava Febres, detto "selva".

Altri ufficiali che erano molto spesso all'ESMA erano Vildoza, superiore di Acosta, ed Astiz che, all'uscita dalla chiesa di S.Cruz, fece arrestare delle donne tra le quali vi erano due suore francesi che furono portate in "Capucha"; un altro detenuto, di nome Serafin, gli disse di aver dovuto scattare una foto alle suore dietro le quali era stato steso uno striscione dei Montoneros. Circa un mese dopo il sequestro furono portate via.

In "Capucha" furono portati anche un paio di militari della Marina; indossavano la divisa ed erano stati sequestrati non per atti di insubordinazione, ma perchè sospettati di essere Montoneros. Per tale sospetto fu preso anche un aiutante di Acosta che fu fatto sparire: si chiamava Tamohosky.

Beatrix Elisa Tokar non era una militante politica, ma fu, comunque, sequestrata il 21/9/77 all'età di 24 anni; fu torturata personalmente da Febres, che si presentò come "Daniel", e che le chiese dove NON avrebbe voluto essere

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ed alla sua risposta: "all'ESMA", le disse che, invece, si trovava proprio lì. Torturata come tutti, venne portata in "Capucha" dove un giorno, mentre faceva la fila al bagno vide una sua amica e compagna di università, che si chiamava Susanita Silver, che era incinta ed era stata messa nella stanza di fianco al bagno; successivamente, a novembre, era in fila nuovamente e, poichè la porta della stanza delle puerpere era semiaperta, entrò per salutare Susanita: nella stanza vi erano altre due donne, Maria Josè che aveva perso il bambino, e Susanna Pegoraro che brevemente le disse di essere stata sequestrata insieme al padre, che non vedeva più all'ESMA, e di essere ormai prossima al parto.

Successivamente vide ancora Susanna con in braccio la bambina alla quale riuscì velocemente a dare un bacio.

Ha riconosciuto nella foto agli atti le sembianze di Susanna Pegoraro.

La sua amica Susanita ebbe una bambina che chiamò Laurita e le disse di aver dovuto scrivere una lettera alla famiglia nella quale doveva descrivere le modalità del parto ed indicare il norne della piccola; era stato Febres a fargliela scrivere ed aveva anche portato una cuIla e tutto il necessario per un neonato.

Susanita e una desaparecida e la famiglia non ha mai avuto la figlia. All'ESMA comandavano Vildoza ed Acosta; Astiz era del gruppo ed una volta le si avvicinò vantandosi di averla catturata personalmente.

Ogni mercoledì vi erano i "trasferimenti" che diventarono meno frequenti alla fine della sua detenzione.

In "Capucha" i detenuti indossavano cappucci di colore grigio o di colore bianco; questi ultimi pensavano che sarebbero stati messi in libertà, ma ciò non corrispondeva sempre al vero: una detenuta, Cucui, aveva il cappuccio bianco ed è, oggi, una desaparecida.

Il colore del suo cappuccio era grigio; il suo numero era "481 ".

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Un giorno le chiesero se sapesse scrivere a macchina ed, alla risposta affermativa, la portarono nel sotterraneo a lavorare; in queUe occasioni le toglievano il cappuccio e, passato qualche tempo, le dissero che era iniziato il suo processo di recupero.

Lila Vitoria Pastoriza, lavorava presso l'agenzia clandestina di stampa "Ancla" ( la stessa del teste Verbitsky) che aveva l'obbiettivo di portare a conoscenza dell'opinione pubblica le notizie censurate o sgradite ai militari. Venne sequestrata il 15/6/77 e portata all’ESMA dove subì l'abituale trattamento. Fu quindi portata in "Capuchita", che era peggio della "Capucha" poichè vi erano due sale di tortura e si sentivano le urla dei torturati. Alla fine di dicembre fu inserita in un gruppo di prigionieri che dovevano realizzare una specie di rassegna stampa; lavoravano in una piccola stanza della "Capuchita" che era utilizzata anche come sala di tortura.

Il comandante del gruppo operativo formalmente era Vildoza, ma chi, in pratica dirigeva il 3.3.2 era Acosta; Febres era quello che si occupava delle donne incinte; Astiz era spesso all'Esma, in Capuchita, dove andava a trovare un suo compagno di corso, Mario Galli, che aveva abbandonato la Marina ed era passato tra i Montoneros.

Non aveva mai visto Vanek, capo delle operazioni della Marina, ma aveva saputo da altri prigionieri che faceva visite all’ESMA.

Uno dei bagni della "Capucha" era utilizzato anche da quelli della "Capuchita"; in questo bagno, verso la fine di giugno, incontrò Giovanni Pegoraro, che vi era stato mandato a lavare i piatti, per il quale aveva già letto che era stata fatta una denuncia dalla Camera della Costruzione di Mar della Plata: parlò un pò con lui che le disse chi era, aggiungendo che era detenuta anche la figlia e che gli avevano detto che lo avrebbero liberato. Lo vide ancora

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qualche vo1ta, sempre più deperito, ma senza riuscire a parlargli. Era l'unico prigioniero che aveva una certa età, Nell'agosto - settembre '77, vi fu un massiccio "traslado" e seppe che Juan Pegoraro ne aveva fatto parte. Riuscì, una sola volta a vedere anche Susanna Pegoraro rmentre, andando al bagno, passò davanti alla stanza delle donne incinte. Seppe da due detenute che l'avevano assistita durante il parto, Sara Osatinsky e Maria Marti, che aveva avuto una bambina.

Graciela Beatriz Daleo, venne sequestrata il 18/10/77 e condotta all'Esma, il suo calvario, la tortura, le umiliazioni sono state portate a conoscenza della Corte anche attraverso la visione in aula della videocassetta "Il pentito argentino" nella quale, oltre alle confessioni di Scilingo, è registrata una sua intervista. In essa vengono descritte le stesse, orride cose già descritte dai precedenti testi.

Dopo aver indicato in Vildoza, Acosta, Astiz, Febres ed altri non imputati, i componenti del gruppo di "tarea" 3.3.2, ha rievocato l'episodio delle suore francesi sequestrate grazie all'infiltrato Astiz. Acosta la terrorizzava letteralmente mentre la torturava; tra le altre cose le diceva: "Ti do un pentonaval e te ne vai su" alludendo alla iniezione di pentotal che veniva praticata ai prigionieri "trasferiti". Altre espressioni care ai torturatori erano: "Noi siamo i padroni della vita e della morte", "Qui nessuno muore quando vuole, nè perchè lo vuole", "Noi parliamo ogni giorno con i1 bambino Gesù", che avrebbe suggerito loro chi doveva vivere e chi morire.

All'Esma era vietato ed era impossibile anche il suicidio.

Ha aggiunto di aver visto, verso la fine di novembre, Susanna Pegoraro che era in avanzato stato di gravidanza; andando in bagno, la vide nella stanza delle donne incinte con indosso un vestito rosso molto ampio, poi indossato da

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altre gestanti. Seppe da altri detenuti che la Pegoraro era stata mandata alla base dei sommozzatori tattici e riportata all’ESMA poco prima del parto.

Ha, infine, riconosciuto in Susanna Pegoraro la persona ritratta nella foto che le è stata mostrata in udienza.

Norma Susana Burgos fu sequestrata il 26 gennaio 1977, portata all'ESMA e brutalmente torturata per due giorni. Quando cominciarono ad arrivare le donne incinte, il "tigre" Acosta le disse di occuparsi di loro; potette vedere, per pochissimo tempo Susanna Pegoraro nella stanza delle donne incinte. Susanna stette all’ESMA in due momenti diversi perchè, dopo il sequestro, fu mandata a Mar de la Plata e tornò all'ESMA per partorire. Seppe che alla scuola era passato anche il padre di Susanna, ma non lo vide mai.

L'ufficiale che si occupava delle donne incinte era "gordo selva" Febres: un giorno lo vide mentre portava una piccola culla di vimini, molto curata, con ricami e merletti e le apparve assurdo che in un luogo dove tutto era dolore e morte, vi fosse una cosa così dellcata e bella, per di più portata da un uomo che era uno di quelli che distribuivano il dolore e la morte.

Le notizie relative ai sequestri, alle decisioni da prendere sulla vita dei prigionieri ed altro le apprendevano direttamente dagli ufficiali che, molto spesso, si vantavano con i prigionieri delle loro attività e dei loro poteri.

Confermava che il mercoledì era giorno di "trasferimenti": si cominciava intorno alle ore 16,00 svuotando completamente il sotterraneo; interrotte le torture, si creava un grande silenzio che invadeva anche la "Capucha"; qui si sentiva solo la voce delle guardie che chiamavano i numeri e, dopo il numero, si sentivano le guardie che facevano alzare i prigionieri chiamati, mettendoli in fila. Uno dietro l'altro, con la mano appoggiata alla spalla di quello che era davanti, venivano fatti scendere per le scale con le

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catene ai piedi; il rumore delle catene si allontanava insieme ai compagni, affievolendosi sempre più, finchè il silenzio si riappropriava della "Capucha". Nel sotterraneo, dopo aver iniettato i1 "pentonaval", spogliavano i prigionieri portandoli via nudi; il giorno successivo trovavano in una stanza i vestiti dei "trasferiti". Un prigioniero, di nome Emilio Assale detto "Tincio", sfiorò questa sorte poichè, dopo avergli praticata l'iniezione e condotto fino all'aereo, si accorsero di aver sbagliato numero e lo riportarono all'Esma, dove dormì per due giorni; al risveglio raccontò che alcuni dopo l'iniezione vomitavano e che, nel riportarlo indietro, un ufficiale gli disse che se l'era cavata per un pelo perchè stava per finire in mare. Probabilmente a causa del vomito dei prigionieri, il giorno successivo nel "sotano" vi era un forte odore di disinfettante.

Delle persone "trasferite", nessuna si è mai salvata e mai le è capitato di scoprirne una viva.

Anche la vita degli aguzzini era sconvolta dalla pratica quotidiana della tortura e della violenza: la teste ha dichiarato di aver parlato più volte con loro, con i quali ha convissuto oltre due anni; facevano turni di 24, 36 ed anche 72 ore per sequestrare, torturare, uccidere e, quando veniva il momento di andare a casa, o in vacanza, non se ne andavano; non avevano più una famiglia, non andavano dalle proprie mogli, dai propri figli, ma rimanevano all'ESMA a parlare con i prigionieri che erano lì da più tempo: non potevano staccarsi da quel pazzo lavoro.

A conferma di quanto dichiarato dalla teste, significative sono le parole rivolte dal "tigre" Acosta ad alcune detenute, in avanzata fase di "recupero", sue commensali durante una cena in un ristorante con altri ufficiali, riportate nel libro "Le reaparecide" (pag, 181): "Con voi si può parlare di cinema, di teatro,

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di qualsiasi argomento: con voi possiamo parlare di politica, sapete tirar su i bambini, sapete suonare la chitarra, sapete tenere in mano un'arma! Sapete fare tutto! Credevamo che donne come voi esistessero solo nei romanzi o nei film. E' questo che sta distruggendo le nostre famiglie! Diciamocelo chiaramente: che ci facciamo con le donne che troviamo a casa la sera, ormai? Che cosa dovrei condividere più con mia moglie? Arriva il sabato e mi chiede cosa faremo la domenica, se andiamo al circolo o no, se ho voglia di giocare a canasta o no, se voglio stare solo con lei o se invitiamo degli amici. È questo quello che resta tra me e mia moglie".

Maria Alicia Milia venne sequestrata il 28/5/77 da un gruppo della Marina; portata all’ESMA fu torturata, anche da Febres, in presenza di un medico, mentre Acosta sorseggiava un whisky. La portarono, poi, in "Capucha" dove vide, stranamente, un signore di una certa età con il quale riuscì a scambiare solo qualche parola; le disse che si chiamava Juan Pegoraro e che all'Esma era detenuta anche la figlia; non ricorda la data, ma ricorda che faceva molto freddo.

Successivamente, a novembre quando faceva caldo (le stagioni sono invertite nell 'emisfero australe), incontrò anche la figlia con la quale parlò di argomenti relativi al parto; Susanna era nella stanza delle donne incinte ed, in quella stanza, partorì una bambina. Susanna era molto giovane e, per tale motivo, la chiamava Kinder, che, in tedesco, vuol dire bambino.

In udienza ha riconosciuto sia la foto di Susanna che quella del padre che, date le condizioni nelle quali lo conobbe, ricordava più anziano.

Vildoza era il capo del gruppo di "tarea"; Acosta, personaggio amorale e sinistro, era il capo dell'intelligence, cioè della ricerca di informazioni mediante tortura; Febres, oltre ad operare dìrettamente neIle fasi operative e di

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intelligence, si occupava delle donne incinte, o meglio, dei loro bambini; Astiz, detto "rubio" era un operativo del gruppo che spesso si fermava a parlare con lei, vantandosi di ciò che faceva; le disse che si era infiltrato nel gruppo dei parenti dei sequestrati, di come stavano lavorando insieme nella raccolta di firme in favore dei detenuti e le comunicò in anticipo il pomeriggio nel quale li avrebbero sequestrati; era terribile sentire quelle cose e non poter far nulla.

In altra occasione fu la stessa teste a chiedergli notizie sui "traslados" e lui rispose: "Voi siete troppi ed è necessario liberarsi di voi, di alcuni di voi, perchè alcuni non ci servono più. Inizialmente li gettavamo al fiume, però il fiume ci ha restituito alcuni di loro, quindi abbiamo fatto ricorso al mare, perchè noi siamo militari della Marina. Noi li buttiamo in acqua, ma l'acqua non è quella superficie morbida che noi conosciamo e, quando una persona viene gettata da un'altezza così grande, l'acqua si trasforma in una superficie d'acciaio e i corpi si vengono a infrangere su quella superficie e si rompono la testa. E poi quello che rimane se lo mangiano le orche".

Sara Solar Osatinsky fu seques trata il 14/5/77 alla fermata dell'autobus; gli uomini del gruppo di "tarea", per occultare la propria identìtà nei confronti dei passanti, gridarono: "Brigata antidroga" e l'assalirono colpendola con una grossa chiave inglese alla testa. Portata all'Esma venne "ricevuta" dal Febres che le tagliò i vestiti ed iniziò a torturarla in presenza di Acosta e di un medico. Portata in "Capucha" le assegnarano il numero 288; i numeri erano di tre cifre e conobbe una persona sequestrata a marzo con il numero 914, dal che dedusse che i numeri erano ricominciati da zero, In "Capucha" si trovò vicino ad una ragazza incinta che era stata sequestrata, insieme al padre, da un gruppo della forza aerea; dopo pochi giorni fu portata in una base dei sommozzatori tattici per essere riportata all’ESMA circa quindici

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giorni prima dì partorire. Conobbe anche il padre della ragazza, Giovanni Pegoraro, che indossava un cappuccio bianco, perchè ritenuto non pericoloso: i detenuti ritenuti pericolosi o, comunque destinati alla morte, indossavano un cappuccio grigio, di tela jeans molto pesante che non consentiva nemmeno di respirare; le disse che in realtà non volevano sequestrare lui, ma la figlia ed, infatti, ad un certo punto lo portarono via per liberarlo; gli dissero di scendere dalla macchina e di andar vìa senza voltarsi, ma lui non obbedì perchè voleva sapere chi erano e che fine aveva fatto la figlia; probabilmente li guardò in volto e prese il numero di targa dell'auto ed, a quel punto, lo presero di nuovo e lo riportarono in "Capucha" dove, da quel momento, indossò il cappuccio grigio.

Susanna Pegoraro ebbe una bambina alla fine di novembre 1977; la teste era stata ammessa a frequentare la stanza delle donne incinte che aveva quattro letti ed un tavolo sul quale avveniva il parto; la stanza cominciò a funzionare nel luglio '77 e lì dentro le era concesso di togliersi il cappuccio, ma non le catene; aiutò Susanna a partorire e, come per tutti i parti che avvenivano là dentro, fu una cosa straziante sentire l'urlo del bambino che nasceva e l'urlo della madre che sapeva che, di lì a poco, glielo avrebbero tolto: le lasciarono allattare la bimba per circa quindici giorni, poi Febres le fece scrivere una lettera per i familiari (nella quale chiedeva di occuparsi della bambina in quanto sarebbe stata assente per molto tempo essendo destinata ad un centro di recupero) e fu portata via. La bimba rimase ancora qualche giorno nella stanza con le altre donne incinte, finchè Febres la portò via. I bambini venivano solitamente prelevati da Febres e fu lui stesso a dire alla teste che lui procurava delle famiglie a questi bambini che venivano dati in adozione.

Una donna incinta che aveva perso il bambino, sapendo cosa l'aspettava, tentò di nasconderlo, ma quando il medico la visitò e se ne accorse, fu fatta

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sparire come tutte quelle che partorirono all'ESMA. Si chiamava Maria Josè Rapera de Magnone.

La teste riconosceva con certezza la foto di Susanna allegata in atti.

La Osatinsky, alla quale erano già stati uccisi il marito e due figli di 16 e 18 anni, venne liberata il 19/12/78 insieme ad Anna Maria Martì ed esìliata a Madrid; il 12/10/79 tennero una conferenza stampa a Parigi dove denunciarono ciò che stava accadendo in Argentina; la loro denuncia fu ripresa dal quotidiano brasiliano "Foglio di S.Paolo", acquisito in atti e tradotto in lingua italiana.

Prima di essere liberata fu messa a lavorare in un posto, vicino alla "Capucha", che i prigionieri chiamavano "pesheira", "acquario"; si trattava di uffici molto piccoli, con piccole scrivanie, con divisioni di vetro così che si potesse vedere dall'esterno ciò che facevano i prigionieri; in questo posto veniva anche l'ammiraglio Vanek che accompagnava in visita altri ufficiali; in questi uffici trovò degli appunti di pugno di Febres nei quali erano dettagliatamente descritte le torture fatte ad una prigioniera.

Prima della liberazione, Febres la costrinse a recarsi a Tucuman dal fratello che obbligò cederle la sua quota dell'eredità dei loro genitori, dicendo che all'estero le sarebbero serviti molti soldi; il denaro consegnato dal fratello era molto, circa 300.000 dollari, e Febres se ne appropriò quasi interamente, lasciandogliene solo 40.000.

Il capo del gruppo era Vildoza e di esso faceva parte anche Astiz che aveva fatto catturare le due suore francesi; le incrociò all'Esma ed avevano segni evidenti di pesanti percosse; la cosa singolare era che la Dumont era preoccupata per un ragazzo biondo sequestrato con loro, che chiamava "nigno": si trattava di Astiz.

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Il mercoledì era giorno di "traslado"; un giorno ancora più terribile degli altri; si sentiva il rumore degli elicotteri che volteggiavano sul campo, mentre tra i prigionieri scendeva un silenzìo assoluto.

Su accordo delle parti venivano acquisite le dichiarazioni rese da Anna Maria Martì e Nilda Haydee Orazi Gonzalez.

Anna Maria Martì è la donna che fu liberata insieme alla Osatinsky con la quale tenne la conferenza stampa a Parigì.

Fu sequestrata il 18/3/1977 e condotta all'ESMA dove, nel bagno del terzo piano, incontrò Susanna Pegoraro che era incinta; Susanna le chiese se avesse visto suo padre che era stato sequestrato con lei, ricevendone risposta negativa. Verso la fine di giugno, mentre era nel "sotano" seduta con altri prìgionieri si trovo a fianco una persona di mezza età, con i capelli brizzolati al quale chiese se fosse il signor Pegoraro; rispose che era Juan Pegoraro e, poichè era vietato parlare, riuscì solo a dirgli che aveva visto la figlia Susanna che stava bene. Fu quella l'unica volta nella quale vide il Pegoraro.

Disse a Susanna di aver incontrato il padre, ma poi per qualche tempo non la vide più; la incontrò di nuovo a metà novembre e seppe da lei che era stata portata in un altro CCD. Verso la fine di novembre Susanna mise al mondo una bambina, vista da lei personalmente e, dopo qualche giorno, non vide più nè la madre, nè la figlia.

Nilda Haydee Orazi Gonzalez fu sequestrata nell'aprile 1977 da un gruppo della Polizia Federale e condotta al "Club Atletico" dove fu torturata con la "picana", mentre contemporaneamente le immettevano nel naso alcool o cherosene; fu anche appesa al soffitto con le braccia incrociate sul davanti ed applicazione della corrente elettrica; questa posizione le impediva anche di respirare perchè, al passaggio della corrente, il corpo si contraeva e le braccia le

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comprimevano il torace; altre torture erano violentissimi getti d'acqua gelata che la facevano rimbalzare contro le pareti o la privazione del sonno, soprattutto quando tornava dalle sessioni di tortura: un uomo si metteva accanto a lei leggendole testi di Mussolini o di Hitler, svegliandola immediatamente se si addormentava.

Dopo circa un mese la portarono all'ESMA dove, nel bagno parlò con un signore d'età avanzata che stava pulendo i piatti: questi le riferì di chiamarsi Juan Pegoraro, di essere un costruttore di Mar de la Plata e di essere stato sequestrato insieme alla figlia Susanna che era in stato interessante. Le disse di essere stato sequestrato perchè aveva annotato la targa dell'auto sulla quale avevano caricato la figlia.

Incontrò anche la ragazza, ma dopo qualche tempo, non incontrò più nessuno dei due: Susanna, però, ritornò all'ESMA poco prima di partorire ma, dopo il parto, non la vide più.

All'esito dell'istruttoria dibattimentale, ritiene la Corte che sia ampiamente provata la responsabilità di tutti gli imputati.

Preliminarmente, sebbene la Corte si sia già espressa con l'ordinanza di rigetto della relativa questione, occorre ribadire che non può essere ravvisato alcun ostacolo alla procedibilità del delltto in esame, essendo pienamente rispettate le condizioni indicate dall'art. 8 C.P.; la specifica richiesta del Ministro manifesta chiaramente la volontà dello Stato di perseguire tali delitti, peraltro, già espressa in un precedente procedimento e confermata, in questo,

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con la costituzione di parte civile della Presidenza del Consiglio; evidente, poi, è la natura politica dei delitti contestati, sia sotto il profilo soggettivo (finalità di eliminazione fisica degli oppositori politici), sia sotto il profilo oggettivo, non potendosi negare l'interesse dello Stato italiano alla tutela di propri cittadini vittime di azioni repressive dei propri diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione, primo fra tutti, quello alla vita.

Quanto alle responsabilità degli attuali imputati, occorre ribadire che i singoli episodi descritti nell'imputazione non sano frutto di "eccessi" ai quali potrebbero essersi abbandonate schegge impazzite delle forze armate, ma sono la conseguenza di una precisa pianificazione, iniziata addirittura prima della concreta realizzazione del golpe. Le testimonianze di Moretti, di membri della CONADEP come la Guinazu, del console Calamai, di Verbtsky, dei militari Luis Garcia e Julio Urien ed, in sostanza, di tutti i testi, nonchè i documenti acquisiti e, tra questi le confessioni di Scilingo contenute nel libro del Verbitsky, consentono di affermare con certezza che la metodologia utilizzata era sistematica ed organizzata da istituzioni dello Stato, le Forze Armate, che avevano il potere di pretendere ed imporre Il’inattività e la tolleranza da parte di ogni altra istituzione (come nel caso della cd. "area libera" o "luce verde", cioè il nulla osta ad operare liberamente nella certezza del non intervento della Polizia).

Le testimonianze raccolte, particolarmente qualificate in considerazione della funzione svolta prima, durante o dopo il golpe (giornalisti, militari, membri della CONADEP), o in considerazione del fatto di aver vissuto in prima persona l'incubo della detenzione nei CCD, sono perciò dotate di ampia attendibilità intrinseca, cui si accompagna una indiscussa attendibilità estrinseca, mancando qualsivoglia indizio calunnatorio o di manipolazione della

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verità; tutte le storie riferite dai testi sono tragicamente paragonabili per identità dei metodi repressivi, anche in relazione a fatti estranei alla attuale, specifica imputazione in quanto non accaduti presso 1'ESMA, ma presso altrettanto famigerati CCD.

I membri della Giunta militare pianificarono le stragi, demandandone ai subalterni la materiale esecuzione e riconoscendo loro una ampia discrezionalità nella scelta degli obiettivi da colpire; tali azioni avvenivano in spregio alle norme vigenti ed ai fondamentali diritti umani e la loro diffusione, con identiche modalità, su tutto il territorio nazionale e per tutta la durata della dittatura, porta ad escludere che possano essere state realizzate al di fuori di precisi ordini superiori; nè muta la realtà delle cose la circostanza che di tali ordini non si sia potuta acquisire la prova esplicita posto che, come riferiscono il Verbitsky e la Guinazu, tali ordini venivano militarmente trasmessi in forma orale, come del resto e facilmente intuibile data la loro natura di ordini palesemente illegittimi; tale illegittimità porta, conseguentemente, ad escludere qualsiasi efficacia scriminante dell'adempimento di un dovere da parte dei militari non ai vertici della catena di comando: come è noto infatti, l'esimente di cui all'art. 51 C.P. non trova applicazione quando 1'ordine del superiore sia manifestamente illegittimo o comporti, addirittura, l'esecuzione di un reato, poichè in tali casi l'ordine stesso perde qualsiasi efficacia vincolante.

Neppure possono essere invocate altre scriminanti, come la necessità di tutelare la propria incolumità dal pericolo di essere fatti oggetto del medesimo trattamento riservato ai "sovversivi", o di aver agito in stato di necessità per aver dovuto salvare il popolo argentino dal pericolo del terrorismo: quanto al primo punto i testi (Garcia, Duhalde, Verbitsky-Scilingo) hanno riferito che nessun militare risulta ucciso per essersi rifiutato di obbedire, mentre molti, per

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non partecipare al massacro, hanno semplicemente scelto di dimettersi dall'arma di appartenenza senza subire alcuna conseguenza. Quanto al secondo punto è ormai accertato che tra le migliaia di sequestrati, torturati ed ammazzati, solo una modesta percentuale era dedita al terrorismo o alla lotta armata, mentre la gran parte di essi svolgeva solo una normale attività politica, o non ne svolgeva affatto; d'altra parte, quand'anche le vittime fossero state tutte dedite al terrorismo, ciò non giustificherebbe l'uso di metodi illegali e disumani: negli stessi anni, si rileva nella relazione della CONADEP, anche in Italia si manifestarono gravissimi episodi di terrorismo che, però, fu efficacemente combattuto senza abbandonare la via della legalità; si ricorda, al proposito, la risposta del generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa a chi gli proponeva di torturare un terrorista per avere informazioni sul luogo ove era sequestrato l'onorevole Aldo Moro: "L'Italia può permettersi di perdere Aldo Moro, ma non può permettersi di introdurre la tortura".

In particolare, relativamente ai casi di Angela Maria Aieta e di Giovanni e Susanna Pegoraro, le loro storie sono state ampiamente ricostruite grazie alle testimonianze raccolte: e indubbio che, negli ultimi giorni della loro vita, essi erano detenuti presso I'ESMA, che deve essere ritenuto un campo terminale, e che l 'ESMA dipendeva dalla Marina Militare.

I testi Graciela Dora Ojeda, Horacio Peralta, Hebe Lorenzo, Marta Remedios Alvarez, Lisandro Raul Cobas, durante la loro detenzione all'ESMA hanno avvicinato e parlato con Angela Maria Aieta, gentile signora che, nonostante le torture subite, rincuorava i prigionieri cercando di infondere loro fiducia; non può dubitarsi della sua individuazione, non solo per la conferma

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della sua ìdentità da lei stessa fornita agli interlocutori, ma anche per la sua notorietà negli ambienti della sinistra in quanto madre del sindacalista Dante Gullo, imprigionato sotto la precedente dittatura, per la cui libertà si batteva.

Come si è appreso, il 20 ottobre del 1976 furono sequestrate e portate all'ESMA oltre cento persone; tra questi vi era Lisandro Raul Cubas che ha testimoniato di aver visto la Aieta nei primi giorni passati in "Capucha"; occorreva creare spazio ed un mercoledì degli ultimi mesi del 1976 fu organizzato un massiccio "trasferimento"; da allora non fu più vista ed una guardia fece capire ad Hebe Lorenzo che la donna era stata eliminata.

Anche Giovanni e Susanna Pegoraro furono visti da numerosi testi: Lisandro Raul Cubas, Beatrix Elisa Tokar, Lila Vitoria Pastoriza, Graciela Beatriz Daleo, Norma Susana Burgos, Maria Alicia Milia, Sara Solar Osatinsky, Anna Maria Martì, Nilde Haydee Orazi Gonzalez ebbero modo di avvicinarli e parlare con loro che, disperatamente, cercavano di avere notizie l’uno dell'altra; da essi ne appresero i nomi e ne hanno riconosciuto in aula le fotografie, cosicchè anche sulla loro identificazione non può esservi alcun dubbio. Entrambi furono "trasferiti", anche se in date diverse: prima il padre, pochi giorni dopo la reiterazione del sequestro (significativo il cambio del colore della "capucha"), poi la figlia, pochi giorni dopo il parto della bambina; secondo la normale prassi ideata dal Febres, le fu fatta scrivere la lettera ai familiari per "l'affidamento" della bambina.

Al di là di ogni ragionevole dubbio i tre cittadini italiani sono stati assassinati ed a nulla rileva la circostanza che i loro corpi non siano stati ritrovati; le dichiarazioni dei testi (anche particolarmente qualificati) sui voli della morte e le stesse parole di Astiz che, sadicamente, descriveva gli effetti della superficie del mare sui corpi degli sventurati e la successiva opera delle

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orche marine, escludono ogni possibilità di dubbio; è ormai accertato che quella della sparizione dei corpi era una precisa metodologia adottata dai m ilitari, tanto è vero che i nostri tre concittadini, purtroppo, non sono certo i soli ad essere scomparsi; d'altra parte, per Giovanni Pegoraro ed Angela Maria Aieta, la destinazione finale era già preannunciata dal marchio che, all'intemo dell 'ESMA, distingueva i morituri dai liberandi: entrambi indossavano la "capucha" grigia.

Quanto a Susanna Pegoraro ha avuto, semplicemente, la stessa sorte di tutte le madri che partorirono all'ESMA dopo l'allestimento della camera per le puerpere: le eccezioni di Marta Remedios Alvarez e Silvia Laivaru si sono, infatti, verificate prima di tale allestimento, quando evidentemente non si era ancora pensato alla gestione su larga scala dei neonati, con l'istituzione della lista d'attesa dei militari.

Gli indizi della loro morte sono, pertanto molteplici, gravi, precisi e concordanti, ulteriormente confermati dalla considerazione che, se fossero sopravvissuti, non avrebbero avuto alcun motivo per non ritornare all'affetto dei propri cari, così come hanno fatto i pochi fortunati che hanno avuto salva la vita.

Di questi delitti gli attuali imputati sono responsabili secondo le norme sul concorso di persone nel reato: Vildoza, quale comandante del famigerato gruppo 3.3.2, Acosta, Astiz e Febres quali componenti dello stesso, devono ritenersi autori materiali degli omicidi avendo posto in essere, quantomeno, una frazione dell'attività esecutiva dei delitti: essi hanno scelto gli obiettivi da colpire, li hanno sequestrati, li hanno torturati, li hanno tenuti in cattività per mesi, ne hanno deciso la sorte ed, infine, li hanno consegnati a coloro che li hanno gettati a mare, ben consapevoli della fine che avrebbero fatto.

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Hanno, pertanto, certamente concorso con coloro che gettavano i prigionieri a mare, allo stato rimasti sconosciuti, cosicchè, dato il principio dell'equivalenza delle cause, secando il quale le cause concorrenti sono tutte e ciascuna causa dell'evento, la loro condotta deve ritenersi eziologicamente collegata all'evento morte; la loro condotta, iniziata con l'apprensione del sequestrato e proseguita con le barbarie già descritte, aveva termine, senza soluzione di continuità, con il "traslado", ovverosia con la morte, della vittima; per tutte le ragioni già dette (programmazione preventiva, militarizzazione, clandestinità, omogeneità dei metodi di repressione), sarebbe poi grottesco ipotizzare la condotta di coloro che gettavano in mare i prigionieri alla stregua di una causa sopravvenuta, in grado di interrompere il rapporto causale in quanto operante con assoluta autonomia e tale da sfuggire alla prevedibilità degli imputati. Per la stessa ragione nessun rilievo può avere la tesi sostenuta dalla difesa secondo la quale non vi è la prova certa che l'Aieta ed i due Pegoraro siano stati uccisi all'ESMA, potendo essere stati realmente trasferiti presso altri CCD, dove poi avrebbero trovato la morte; in primo luogo non vi è alcuna prova di tale circostanza, mentre vi sono prove in senso opposto sulla loro permanenza all'ESMA, con il marchio della "capucha" grigia, fino alla loro scomparsa e vi sano prove dei "traslados" che partivano dall'ESMA (Susanna Pegoraro fu si trasferita presso il CCD dei sommozzatori di Mar de la Plata, ma solo per farle portare avanti la gravidanza e fu, nuovamente ricondotta all'ESMA proprio per il parto ed il suo "trasferimento"): in secondo luogo, quanto già detto in ordine alla causalità dei delitti ed alla compartecipazione dolosa degli imputati, non farebbe venir meno la responsabilità degli stessì neppure se fosse vero quanto paventato dalla difesa. In poche parole nell'attuale procedimento non rileva chi siano gli ignoti che materialmente hanno gettato

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dagli aerei i prigionieri (e nulla esclude che l'abbiano fatto gli stessi imputati, in esecuzione della direttiva secondo la quale tutti gli ufficiali dovevano partecipare ad almeno un volo della morte), poìchè è ampiamente provata l'unitarietà della condotta dei militari: la Suprema Corte si e più volte pronunciata sulla struttura unitaria del reato concorsuale, nel quale "confluiscono tutti gli atti dei compartecipi, sicchè gli atti dei singoli sono, al tempo stesso, loro propri e comuni anche agli altri, quando tra gli stessi sussiste una connessione causale rispetto all'evento e ciascuno è consapevole del collegamento finalistico dei vari atti posti in essere" (Cassazione, 25/1/90, Sez. l, Vito).

Quanto al Contrammiraglio Antonio Vanek, dato il suo alto grado, deve darsi per scontato che non faceva parte del gruppo di "tarea" 3.3.2, i cui componenti operativi erano, infatti, ufficiali (e sottufficiali) di grado molto inferiore al suo.

Il Vanek era i1 capo delle operazioni navali, seconda carica della Marina Militare argentina, gerarchicamente subordinato solo all'Ammiraglio Massera, componente della giunta di Govemo; da lui dipendeva il SIN, Servizio di Informazioni Navali, del quale i gruppi di "tarea" erano le unità operative (testimonianza Urien); la sua alta carica lo poneva ai massimi livelli della gerarchia militare, cioè tra coloro che programmarono il genocidio e reperirono le risorse umane e materiali per realizzarlo; come comandante delle operazioni navali, conduceva direttamente la lotta alla sovversione che era la principale attività svolta dalla Marina in quegli anni (testimonianza Bagnasco).

Il suo contributo nell'adozione delle scelte criminali della Marina è confermato dalle dichiarazioni del teste Horacio Verbitsky; questi apprese dall'ufficiale Scilingo che il metodo di eliminazione dei prigionieri era stato

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ideato già prima del colpo di stato: nel gennaio - febbraio del 1976 tutti gli ufficiali furono invitati nella più grande base della Marina Militare dove il Vanek li rassicurò sui pregi del sistema annunciato, comunicando che era stato approvato anche dalle autorità ecclesiastiche.

Anche la testimonianza del militare "ribelle" Luis Garcia porta alle stesse conclusioni: il teste, particolarmente qualificato in quanto ufficiale di Stato Maggiore ed insegnante all'ESMA, pone il Vanek ai vertici della catena di comando, subito dopo Massera; l'ESMA era alle dirette dipendenze del Vanek, ed il suo Comandante Chamarro gli era subalterno; il Contrammiraglio aveva la diretta responsabilità dell'ESMA che, pur trovandosi nella zona 1 sotto il comando del generale dell'esercito Carlos Guillermo Suarez Mason, per la sua specificità era rimasta sotto le dirette dipendenze della Marina.

Il Vanek era, dunque, in piena sintonia, programmatica ed esecutiva con la giunta, e con Massera in particolare che, d'altra parte, non avrebbe mai consentito che la catena di comando potesse essere interrotta, o ostacolata, dalla seconda carica della Marina. Al Massera ed al Vanek si devono la creazione dei tanti CCD della Marina, l'organizzazione logistica per la loro gestione, l'inquadramento del personale dei gruppi operativi clandestini, la fornitura di camion ed aerei per i "trasferimenti" dei prigionieri.

D'altra parte la sua condivisione degli orrori della scuola si ricava anche dalla circostanza che il Vanek la frequentava con una certa regolarità, recandosi in ogni suo locale (testimonianze di Sara Osatinsky, Lila Pastoriza e Marta Remedios Alvarez): in uniforme militare è stato visto accompagnare altri ufficiali ad osservare i prigionieri in "peshera", in "capucha" e nel famigerato "sotano", dove regolarmente si praticava la tortura.

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Non risulta che l'imputato abbia mai mosso alcuna critica ai metodi adottati, eppure la sua qualifica gli imponeva un controllo giuridico sulle attività dell'ESMA, sicchè la sua responsabilità viene ulteriormente confermata anche sotto il profilo omissivo, ai sensi dell'art. 40 C.P., per aver tollerato le illegalità che si perpetravano nella scuola, nonostante la posizione di garanzia della quale era investito proprio in virtù della sua alta carica.

All'esito dell'istruttoria dibattimentale si può, dunque, con certezza affermare che negli anni della dittatura venne realizzato il più tragico genocidio della storia argentina. Con spietato, quanto ottuso, metodo i militari assassinarono migliaia di cittadini, per lo più giovani o adolescenti, spesso senza alcuna fede politica. In tutto il Paese si seguì la stessa metodologia ideata dalla Giunta e portata avanti da molti membri delle forze armate con teutonica certezza, incompatibile con atteggiamenti di mera obbedienza; la cultura di estrema destra della quale erano fortemente permeate le forze armate argentine, il dellrio di onnipotenza ("noì siamo padroni della vita e della morte"), la certezza dell'impunità dei carnefici, proiettarono l'Argentina nella più totale illegalità, dove il sopruso, la concussione, la violenza e l'omicidio erano la regola.

La negazione della memoria, il drammatico e generalizzato "furto" dei bambini, l'impunità di cui ancora godono molti di quelli che un difensore ha opportunamente definito "feccia umana fattasi Stato", ha lasciato profonde ferite, ancora aperte, nella società argentina; ferite che, forse, potranno essere cicatrizzate solo dal passaggio di altre generazioni e dalla testimonianza di una Giustizia che ne risarcisca le vittime; vale la pena di riportare ì versi della

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poesia "Il racconto" di Mariana Perez Roisinblit, dedicata ad un fratello mai conosciuto, (contenuta nel libro "Le reaparecide" acquisito all'udienza del 30/11/06) che, meglio di altre parole, esprimono la disperazione e la speranza che per anni hanno sopraffatto, e continuano a sopraffare il popolo argentino:

"Ti racconterò la storia del tuo arrivo a questo mondo
nei sottosuoli della paura, sopra un tavolo,
un giorno di primavera a mezzogiorno,
il giorno in cui ti troverò.
Il giorno in cui ti troverò ti racconterò
la storia di questa sorella incompleta,
la storia della tua assenza, del vuoto a ogni compleanno,
ogni primo dell'anno, ogni diploma, ogni vacanza,
ogni funerale".

Dimostrata la responsabilità degli imputati in relazione ai tre omicidi, devono ritenersi sussistenti le aggravanti contestate della premeditazione e dell'aver agito con sevizie e crudeltà.

In ordine alla prima aggravante non vi è dubbio che ne ricorrano entrambi i requisiti, ideologico e cronologico: risulta dalle testimonianze assunte che sia l' Aieta che i due Pegoraro, prima di essere assassinati, hanno trascorso lunghi periodi di prigionia durante i quali il proposito criminoso è perdurato e si è rafforzato; ne è un chiaro indice il colore della "capucha" che, sin dal momento del sequestro, segnava la sorte di Angela Maria Aieta e di

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Giovanni Pegoraro, mentre la figlia Susanna è stata deliberatamente tenuta in vita solo fino a quando ha potuto fornire un altro figlio da "rubare".

Quanto alla seconda aggravante, è innegabile che i tre omicidi vennero accompagnati e preceduti da sevizie, cioè da tormenti fisici e morali non necessari a cagionare la morte; al di la delle torture fisiche cui risulta essere stata, più volte, sottoposta Angela Maria Aieta e Susanna Pegoraro (lei stessa riferì alla Osatinsky di essere stata torturata), le stesse terribili condizioni di detenzione nella "Capucha", o la detenzione di Susanna presso la base dei sommozzatori tattici nelle condizioni da lei stessa descritte alla Osatinsky (l'intero giorno seduta su una sedia, in silenzio, con il viso contro il muro) costituiscono forme di sevizie, particolarmente crudeli ove ad esse si aggiunga la condizione psichica della perdita dei requisiti propri dell'essere umano, dell'isolamento dal mondo esterno, della consapevolezza che la propria vita era totalmente nelle mani degli aguzzini.

La difesa ha contestato la sussistenza dell’aggravante sostenendo che le sevizie non erano finalizzate alla morte, ma ad ottenere informazioni: tale osservazione appare irrilevante poichè il codice non richiede alcuna finalizzazione, essendo sufficiente il dato obiettivo di aver ecceduto nella condotta criminosa realizzando, un quid pluris non necessario alla causazione dell'evento. L'art. 577 C.P. afferrna solo che il fatto è aggravato se commesso col concorso delle circostanze indicate nell'art.61 n.4 C.P., cioè l'aver adoperato sevizie o l'aver agito con crudeltà verso le persone; come si vede le sevizie e crudeltà devano solo concorrere con l'azione, ma non ne è richiesta nè la finalizzazione all'evento, nè la contestualità (peraltro, presente nel caso che ci occupa, posto che la stessa detenzione costituiva una tortura e che, tra questa e la morte, non vi era soluzione di continuità): a conferma della interpretazione

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esposta si richiama la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I - del 23/2/06, che afferma che per la sussistenza dell’aggravante "è irrilevante che la vittima abbia potuto percepire o meno l'afflittività di tutti gli atti seviziatori".

Ma, a ben guardare, diversamente dall'opinione dei Vescovi argentini, ritiene la Corte che lo stesso sistema del lancio dei corpi in mare è un sistema che implica sevizie e crudeltà: privare un essere umano della sua capacità di intendere e di volere, gettarne il corpo in mare con i devastanti effetti descritti da Astiz, con un'eventuale sopravvivenza all'impatto nonostante le fratture alle ossa (le autopsie dei corpi della suora francese e delle madri di Plaza de Mayo hanno individuato nell'annegamento la causa della morte), e di per sè un metodo che comporta indicibili sofferenze per le vittime e che eccede i limiti di una normale causalìtà; ma, quand'anche la morte fosse stata indolore, "per la sussistenza dell'aggravante non si richiede l'attitudine della vittima ad avvertire l'afflittività degli atti subiti, essendo la circostanza essenzialmente imperniata sulla considerazione del comportamento dell'autore dell'illecito e sulla conseguente maggiore riprovevolezza di un modus agendi connotato da particolare insensibilità, spietatezza od efferatezza" - Cass. Sez.I, 10/2/97 – ­Scorza.

Infine, come è noto, la giurisprudenza distingue il concetto di sevizie da quello di crudeltà: le prime, consistono in sofferenze fisiche o psichiche inflitte alla vittima, mentre la seconda può estrinsecarsi anche nei confronti di persone diverse; la crudeltà, non sempre attuata come strumento di esecuzione del reato, si manifesta nelle modalità esecutive dell'azione, rivelando l'indole particolarmente malvagia dell'autore. Orbene, non c'è chi non veda quanta crudeltà sia stata adoperata nei confronti dei parenti delle vittime, privati perfino del conforto di una tomba.

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Non vi è alcuna ragione per concedere agli imputati le invocate attenuanti generiche; al di là del ruolo primario del Vanek nella scelta della atroce metodologia repressiva derivante dai suoi poteri di comando, anche gli altri imputati sono immeritevoli di valutazioni favorevoli in considerazione dello "zelo", per non dire dell’entusiasmo, con il quale hanno attuato la repressione, sequestrando gli "obiettivi", torturandoli personalmente, sottraendone i figli ed, infine, uccidendoli; la prolungata reiterazione dell'attività criminosa e, inoltre, indice di una spiccata capacità a delinquere.

In conseguenza delle predette valutazioni la pena da infliggere agli imputati è quella dell'ergastolo. Correttamente è stata contestata la continuazione interna tra gli omicidi, risultando evidente l'unicità del disegno criminoso ed, a norma dell’art. 72 C.P., trattandosi di concorso di reati comportanti ciascuno la pena dell’ergastolo, viene disposto l'isolamento diurno degli imputati per il periodo di un anno.

Per tutti gli imputati conseguono, per legge, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'interdizione legale durante il periodo di espiazione della pena, in applicazione rispettivamente degli artt. 29 e 32 C.P.

Ai sensi dell’art. 36 C.P. viene disposta la pubblicazione della sentenza, estratto, sui quotidiani "Il Corriere della Sera" e "La Repubblica", nonchè mediante affissione nel Comune di Roma.

Tutti gli imputati vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni subiti dalle partì civili costituite concludenti: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Provincia di Cosenza, familiari di Angela Maria Aieta, coniugata Gullo ed Inocencia Luca, vedova Pegoraro.

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Nulla quaestio in relazione alla costituzione dei familiari delle vittime, ma corretta appare anche la costituzione dello Stato italiano, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio, che ha giustamente inteso far valere i danni morali subiti a seguito della lesione diretta del proprio interesse primario costituito dalla tutela della propria collettività, così come ha giustamente fatto anche l'ente esponenziale della Provincia di Cosenza, della quale era originaria l'Aieta, quale portatore di un autonomo interesse in considerazione dei rapporti costanti tra la comunità di origine ed i lavoratori emigrati.

La misura della quantificazione del danno va, peraltro, demandata ad altra sede.

Tenuto conto degli elementi di prova già acquisiti, in ogni caso, può essere liquidata, a favore delle parti che l’hanno richiesta, una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 100.000,00 (centomila) ciascuno, in favore di Inocencia Luca Pegoraro e dei parenti più stretti di Angela Maria Aieta e di euro 50.000,00 (cinquantamila) in favore del nipote di quest'ultima.

Tutti gli imputati, infine, vanno condannati in solido alla rifusione delle spese di costituzione e giudizio sostenute dalle parti civili che, sulla base delle rispettive note, vanno liquidate in euro 40.000,00 (di cui 30.000,00 per onorari) per le parti civili difese dall'avv.to Maniga, euro 25.000,00 (di cui 20.000,00 per onorari) per le parti assistite dall'avv.to Gentili, euro 7.500,00 (di cui 7.000,00 per onorari) per la parte difesa dall'avv.to Brigida, euro 15.000,00 di cui 8.000,00) per la Provincia di Cosenza ed euro 15.000,00 (di cui 5.000,00 per onorari) per la parte civile difesa dall'avv.to Magorno, oltre IVA e CPA.

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P.Q.M.

Visti gli artt.533, 535, 538 e 539 c.p.p.,
dichiara Acosta Jorge Eduardo. Astiz Alfredo Ignacio, Vildoza Jorge Raul, Vanek Antonio e Febres Hector Antonio colpevoli del reato continuato loro ascritto e li condanna ciascuno alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per un anno, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e con interdizione legale durante il periodo di espiazione della pena;
ordina la pubblicazione della sentenza, per estratto, sui quotidiani "Il Corriere della Sera" e "La Repubblica" e mediante affissione nel Comune di Roma;
condanna i suddetti imputati, in solido, al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili costituite nella misura da liquidarsi in separata sede, nonchè al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 100.000,00 (centomila) ciascuno per Humberto Carmelo Gullo, Emiliano Damien Gullo, Carlos Nicolas Gullo, Leopoldo Benito Gullo, Inocencia Luca ved. Pegoraro e Juan CarIos Dante Gullo e di euro 50.000,00 (cinquantamila) per Juan Ernesto Gullo;
condanna gli imputati, in solido, alla rifusione delle spese di costituzione e difesa che liquida in complessivi euro 40.000,00 (di cui 30.000,00 per onorari) in favore delle parti civili assistite dall'avv. Maniga, euro 25.000,00 (di cui 20.000,00 per onorarì) per le parti civili assistite dall'avv. Gentili, euro 7.500,00 ( di cui 7.000,00 per onorari) per la parte civile assistita dall'avv. Brigida, euro 15.000,00 (di cui 8.000,00 per onorari) per la Provincia di

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Cosenza ed euro 15.000,00 ( di cui 5.000,00 per onorari) per la parte civile assistita dall'avv. Magorno, il tutto oItre IVA e CPA;
fissa in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.
Roma, 14/3/2007.
IL Giudice estensore 									Il Presidente 		
Dr. Elio Michelini 									Dr.Mario Lucio D’Andria

Dep. in Cancelleria
Oggi 06/06/07

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